FAI CIAO – Flavio Ignelzi

Supponiamo che non ci veda. È girata di spalle, sta friggendo qualcosa in padella, è concentrata su un altrove che non ci piace. Messa così, il volto nascosto alla vista, non sembra neppure umana, siamo toccati dalla tensione, incuriositi e nervosi nell’immaginare la sua espressione se solo sapesse quello che sta rischiando.

Inizia così l’ultimo romanzo di Flavio Ignelzi, FAI CIAO – edito da Polidoro Editore. Comincia con una madre ripresa di spalle e un ragazzino, Samuel, suo figlio, che le arriva a pochi centimetri e solleva un grosso coltello da cucina. Ci ricorda – come non potrebbe? – una delle scene più iconiche di sempre: quella della doccia in PSYCHO. Costruita ad arte, l’impalcatura della famosa pellicola di Hitchcock ci mostra il lato più sottile dell’orrore, quello mentale, che sottende ad un conflitto di cui ancora non siamo a parte, ma che ci lascerà di stucco davanti al finale.

Anche Ignelzi insiste sul senso del terrore, e costruisce questo romanzo partendo dalla fine, rivelandoci prima il conflitto – una madre, un figlio ed un coltello pronto a colpire – senza svelare nulla di quello che ha portato il ragazzino al parossismo, trasformandolo in un potenziale omicida.

La storia di Samuel è la storia di una destrutturazione. Venire a capo di quello che gli succede – e soprattutto gli è successo – è come montare un puzzle al contrario: un tassello per volta a far funzionare la moviola del passato, spinti dentro i luoghi oscuri di un bambino che attraversa boschi e case infestate, impegnato dal fardello del proprio io sconquassato, alla spasmodica ricerca di una ragione, un valido motivo per giustificare quel che accade. Ci sono voci che si moltiplicano e riflessi torbidi che si intuiscono quel tanto che basta per inorridirci, mentre il ritmo volutamente serrato della narrazione sospinge verso un concetto che intrappola.

La ricostruzione sfalsata a cui, mano a mano, partecipiamo si compie nel segno di un’inconsapevolezza colpevole, bieca, che si fa odiare per la solitudine che innesca e che ci spaventa, per la possibilità che Samuel rappresenta.