Ohio, oggi. Nella cittadina di Barnesville la gente si ammala, intossicata dalle attività di estrazione mineraria della Demont, un’azienda senza scrupoli che sta acquistando dagli abitanti tutti i terreni a disposizione per ricavarne il maggior guadagno possibile. La famiglia di Amy, che da sempre versa in condizioni precarie, ha acconsentito alla vendita della propria terra e ora coltiva, neanche troppo velatamente, un ostinato senso di colpa che si ripercuote fin da subito nelle atmosfere rabbuiate, appesantite dalla rassegnazione dei poveri e dalla disperazione di fronte all’obbligo di scegliere una morte per malattia ad una per fame.
John Woods stende le sue tinte noir sul paesaggio – la periferia di un’America in cui la letteratura degli ultimi anni si addentra sempre più spesso – e sui suoi personaggi: tutti quanti, dal patriarca fanatico del ku klux klan ai sinistri agenti di polizia, sono compromessi, inglobati nel disfacimento ambientale, invischiati in una realtà disgraziata che, alla fine, li ha definiti.
Su questo sfondo scuro, ma mai omogeneo, perché Woods è bravissimo a rappresentare con pochi incisi tutte le variazioni del disagio – una madre anaffettiva ed egocentrica, un marito succube dei continui tradimenti della moglie, una diciottenne che abusa del proprio corpo in nome del principio contrario -, si stagliano due figure portanti, che catalizzano l’andamento di tutto il romanzo: Amy Wirkner e Brett Hastings.
Amy ha diciotto anni e vive tra le difficoltà di una famiglia emotivamente e finanziariamente disagiata e un fratellino, malformato e con un grave ritardo neurologico, che strilla e strepita come un animale in agonia. Non c’è nulla che possa sollevarla dal tormento esistenziale se non la determinazione con cui studia e si guadagna i voti migliori per poter finalmente abbandonare la buca infernale in cui è nata e cambiare la propria vita. La sopravvivenza guida, sotto traccia, ogni sua mossa, strappandola a forza dalle maree emotive che si infrangono su un’adolescenza vissuta di traverso, ai limiti dell’accettazione, a causa delle misure oversize che le valgono il soprannome di Lady Chevy.
C’è qualcosa che Amy, così schietta e irriducibile, personaggio sfacciatamente crudo e realistico, ha dovuto gettare a mare per non affondare: la possibilità di andare in mille pezzi, un lusso che non può concedersi e che la rende, paradossalmente, fragile come non vorrebbe. Così, quando Paul, il ragazzo di cui è innamorata da sempre, le chiede una mano per far esplodere una cisterna della Demont, Amy, contravvenendo al suo stile di vita così granitico e lungimirante, acconsente e si ritrova coinvolta in una grana colossale.
Il custode della cisterna è rimasto ucciso nell’attentato ed è l’agente Hastings che deve indagare sul caso.
Mutuando la figura del poliziotto psicotico da Jim Thompson, con Brett Hastings Woods dà vita ad un personaggio altrettanto controverso e decentrato in un mondo interiore che frana nella follia. L’esaltazione razzista e l’abuso di potere che si celano sotto l’integrità della divisa aumentano le aspettative del lettore, mantenendolo in tensione tra quel che sa e la premonizione di una sorpresa che, facendosi desiderare, seduce.
Lady Chevy è, insomma, un romanzo pieno, concettualmente vastissimo, tenuto a bada dalla concretezza linguistica e dallo stile incisivo di Woods. Qualcuno lo ha catalogato sotto un’etichetta di genere, che spazia dal noir al thriller, ed io sono d’accordo, sempre che quell’etichetta sia larga abbastanza da contenere anche tutta la vita per come, molto spesso – quasi sempre – è.
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