La carne – Cristò

Una voce riecheggia da un nebuloso altrove, è antica e attraverso i sogni penetra nell’inconscio umano. Dopo averla ascoltata, qualcosa nelle persone cambia, le fa ammalare, le rende irriconoscibili, le spegne. Ne fa degli zombi. Apparentemente il loro aspetto è quello di sempre – o almeno lo è finché non finiscono preda della furia cieca di qualche sopravvissuto. Si mettono in fila davanti ai magazzini di distribuzione per un pezzo di carne, perché la carne è tutto ciò a cui riescono a pensare, il motore che li muove, il primitivo innesco che sospinge questa brulicante massa di involucri incapaci di morire. Queste figure, assimilabili a cadaveri ambulanti, sono i padri, i mariti, le madri, gli amici di chi ancora resiste e prega per una fine che interrompa una sequenza insostenibile di giorni sempre uguali.

È un vecchio a raccontare questa storia, il mondo per come tutti lo conosciamo è finito da settant’anni: non esiste più un futuro perché non esiste più morte. Ogni cosa è congelata dentro ad un presente infinito, mortifero, in cui la ripetizione dei gesti e il ristagno delle idee sono la condanna da girone dantesco che un dio impazzito ha inflitto agli uomini. Ogni cosa per questo vecchio è rimasta uguale da quando aveva otto anni. La stessa marca di elettrodomestici, i soliti vestiti, gli stessi titoli al cinema, tutto si replica ossessivamente, come una goccia d’acqua che cade eterna da un lavandino che perde. Croce e delizia della mente rimane il ricordo. Da queste memorie lontane eppure vividissime, come in un numero perfetto di telepatia, sgorga la storia di Tancredi, un giovane medico che, nel mondo precedente, quello di quando il vecchio era solo un bambino, deve cimentarsi con gli strani sintomi che affliggono alcuni dei suoi pazienti.

E così, noi che leggiamo, ci affidiamo ipnotizzati alla voce di Cristò che ci guida, sembra placidamente, attraverso le strutture diroccate di un mondo sottosopra in cui ancora leggiamo le tracce di una normalità che punge, come un taglio mal rimarginato, e oscilliamo, tra la psicosi onirica che grava sui protagonisti e la crudezza di tutto quello che non ci aspettiamo da questi nuovi zombi, diversi da quelli di Romero o di 28 giorni dopo, lucidi di fame, involontari carnefici e allo stesso tempo vittime degli ultimi superstiti, addolorati, irredimibili.

Con La carne, Cristò è riuscito a dare vita ad un romanzo sugli zombi particolarmente efficace perché non affonda nel dejà-vu o nel banale, ma li sovrasta. Dalla pagina sorge un mondo inedito, un universo inchiodato a quel che resta di una vita congelata nei fotogrammi di un parco acquatico, nella latta degli alimenti in scatola, nel colore opaco dei televisori col telaio di plastica; un mondo in cui suonano sempre gli stessi dischi e tutti i sapori sono stati provati, un posto in cui la paura di non morire è la vera condanna e, quando pensiamo di averci fatto la mano, senza dirci niente, ecco che il treno su cui l’autore ci ha messi deraglia, sanguinario, brutale.

«Un bambino così non seppellisce nessun tesoro ma aspetta di diventare vecchio collezionando le vite normali di quelli che gli somigliano (e di quelle vite non ha in mano nient’altro che qualche immagine). Un bambino così aspetta di diventare vecchio sapendo che non sarà mai grande»