Una vita scandita dai rintocchi di una guerra – quella tra Iran e Iraq – che si perpetua in echi drammatici e quotidiani, anche a distanza di anni, e da una disabilità acquisita nella culla, dovuta all’onda d’urto di un colpo esploso troppo vicino, un orecchio condannato per sempre al ricordo, sotto forma di nausee e vertigini croniche.
È così che Mostafa Mastur introduce il suo antieroico protagonista, Hany, neolaureato in fisica che, pur di restare a vivere nella capitale iraniana, si arrabatta tra lezioni di fisica e alloggi che definire di fortuna sarebbe un eufemismo. L’ultima soluzione abitativa che gli è capitata a tiro ha le sembianze di uno squallido scantinato che divide con due strambi personaggi, Karim Giogiò – coinvolto in affari di dubbia legittimità – e Morad Sormè – sempre assorbito da riflessioni esistenziali. Il trio è sufficientemente atipico per permettere a Mastur di condurre una narrazione insolita, che punta ad un tipo di letteratura fresca perché si profila come nuova sul panorama contemporaneo.
Tutto centrato sul dramma esistenziale dei suoi protagonisti, incastrati sulla scacchiera della vita da folli turbini emotivi che sconfinano nell’assurdo di una realtà arcana, inconoscibile eppure manifesta – mantenendo in questo punti di contatto con le caratteristiche della letteratura iraniana moderna, penso a quel capolavoro di precipitazione spirituale che è LA CIVETTA CIECA di Sadegh Hedayat – SULL’AMORE E ALTRE COSE è un romanzo breve che si gioca sul contrasto tra le diverse concezioni dell’amore.
Per Hany, che – mentre è in coda alla banca – rimane folgorato dalla bella Parastù, l’amore è un concetto assoluto che non ha bisogno di altro se non del sentimento che lo ha generato e lo sorregge. Per Parastù, invece, l’amore da solo non basta, senza una solida base economica è destinato ad affondare, necessita di una strategia efficace che il povero Hany non riesce a garantirle.
Sullo sfondo di una Teheran variopinta e caratterizzata da un’estemporaneità che è diventata stile di vita, va così in scena il dramma dell’amore e della gelosia. Parastù ha deciso che sposerà un altro, qualcuno che possa garantirle la stabilità di cui pensa di aver bisogno. Va da sé che Hany impazzisca e, completamente avvinto da un viscerale istinto di possesso e vendetta, farà di tutto per comprare una pistola.
Il romanzo di Mastur possiede, nella sua immediatezza, la grazia della parola e si fa forte di una velocità di azione che riesce a mantenere stabile per tutta la durata della narrazione, incarnando con esattezza lo squilibrio psichico che, quando arriva, non avverte. Ma la storia si scompone anche in piccoli ritratti paralleli, quelli dei compagni di avventura di Hany che, delicati, aggiungono materiale umano ad una vicenda che concentrica racchiude la vasta gamma di vissuti di una popolazione intera e di un mondo per nulla scontato, che per molti aspetti ci è sconosciuto e dunque ci affascina.
«Nella palude dell’amore mi ero impantanato senza aver scelto di entrarci. Come i corpi celesti risucchiati dai buchi neri, giravo nell’orbita e anche volendo non potevo uscirne, ero in trappola ma non desideravo essere liberato»
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