Diario scandaloso di una vecchia – Lina Agostini

Lina e quella macina in cui, prima o poi, finiamo tutti

 

Una lettera ritrovata, persa tra i mille ricordi di una vita e poi ricomparsa a collegarli tutti, diventa l’enigma sentimentale attorno al quale Lina Agostini sviluppa il suo diario. Scandaloso, dice il titolo, perché nel ripercorrere i momenti salienti di una vita fuori dal comune, vissuta assecondando la passione per la scrittura, a costo della reputazione, a costo della maternità e dell’amore, non tace niente, neppure le espressioni meno eleganti. In bilico tra raffinatezza culturale e prosaicità Lina si racconta senza pudore e, fin dall’inizio, chiarisce bene le sua posizione rispetto alla vecchiaia: fa schifo, è una conseguenza inevitabile della vita, ma non per questo è detto che debba piacerle o diventare un’abitudine da indossare con disinvoltura.

In possesso di una bellezza sfacciata, dopo l’iniziale difficoltà che le vale il divorzio, il ripudio della famiglia e il ritiro quasi immediato del suo primo romanzo dagli scaffali di tutte le librerie – Giorgina, questo il titolo del libro incriminato che raccontava senza troppi veli le scabrosità di un piccolo paese toscano -, Lina attraversa gli anni in grande stile: i primi impieghi a Roma dove, senza dire niente, fugge di notte affittando un taxi con i pochi soldi che le sono rimasti, gli amori sbagliati con uomini più vecchi, le interviste illustri – Nureyev su tutte -, gli incontri audaci col Barone Rosso, i viaggi, trasposizione terrena di un amore nato su carta con la letteratura, l’America, incarnazione di una passione inestinguibile, l’Egitto, Parigi, Israele, e una figlia, miraggio di una redenzione lontana, accantonata per cavalcare l’euforica giostra della scrittura.

La vecchiaia diventa il luogo in cui domandarsi, e poi neanche troppo, che futuro avranno tutte le passioni che l’hanno tenuta in vita, è il posto discreto da cui osservare i nipoti crescere, mantenuta a distanza da una porta che mai si apre sul pianerottolo condiviso e da una figlia ormai adulta che ancora le rinfaccia tutte le bambole con cui non hanno giocato, le imposizioni che ha mal sopportato, il disamore di cui sembra fatta.

Seduta a riguardare gli articoli e le lettere di una vita, Lina continua a scrivere, mettendosi in gioco e allo stesso tempo tenendosi in disparte, riflettendo sui giudizi lapidari della figlia che la crede una malvissuta, un’arrogante, una presuntuosa, contrapponendo ad essi il sontuoso ritratto che uno scrittore, anni prima, le aveva dedicato, in cui la definiva selvaggia, imprevedibile. In questo secondo tempo che è la vecchiaia, in cui sono i morti a giocare contro i vivi, in cui il corpo, preparandosi al distacco finale, fa quello che vuole, Lina vuota il sacco, consapevole che la vita la si inganna raccontandola, arrivando, uno stralcio dopo l’altro, ad individuare tra i tanti suoi amori l’autore di quella lettera che la definisce e la comprende, sottraendola per un momento alla macina in cui, prima o poi, finiamo tutti.