Di cosa è fatta la realtà.
Mira alla rappresentazione della vita nella sua essenza la dea degli scrittori, così come la definisce Palahniuck, e difatti, Amy Hempel in questa seconda raccolta di racconti, edita in Italia da SEM, la ritrae tutta la realtà, senza darsi limiti di sintassi o cronologia, restituendola come i suoi personaggi l’hanno percepita, vissuta, aggredita, subita. Non ci sono briglie che tengano in queste storie, lo sforzo dell’autrice è teso al massimo della resa e il punto di osservazione è così soggettivo che spesso ci si può sentire disorientati. Lo stile frammentato, che vuole riprodurre il processo mnemonico del ricordo, si complica in salti temporali, si dispiega in associazioni di Senechiana memoria, si libera dal concetto di unità e univocità inserendo in uno stesso racconto eventi sottintesi, repentini cambi di persona, applicando l’ellissi alla narrazione per rafforzarne il concetto.
Classe 1951, Hempel è stata allieva di Gordon Lish, il controverso editore di Carver, e qualcosa di quel minimalismo compare anche nella sua produzione letteraria, ad iniziare dall’America “minore” che racconta, e da come decide di raccontarla, esaminando i dettagli di vite ordinarie, aggregando piccoli aneddoti di una quotidianità dimessa, vissuta all’ombra, riducendo il campo all’essenziale, misurando con grande accuratezza le parole ed il posto che le frasi occupano nel testo – cambiamone l’ordine e la resa non sarà più la stessa.
Così accade che le storie raccolte dentro a Nessuno è come qualcun altro varino continuamente, in lunghezza – alcuni racconti durano poche pagine, altri come Cloudland prendono una buona parte del libro – e composizione – si passa da un piano fittamente surreale in cui a restare acceso nella mente è il cuore pulsante della circostanza che l’autrice descrive, ad un piano più “classico” in cui gli eventi, pur rispettando la regola della frammentarietà e sovrapposizione temporale, si avvicinano ad una narrazione in sequenza, agevolando la partecipazione del lettore.
Queste vite minuscole su cui Hempel si concentra, puntando sullo svelamento di un segreto che può benissimo nascere dalle pieghe del banale, deflagrano sulla pagina e lì restano, sospese, dentro a finali aperti o puntini di sospensione impliciti, energiche eppure contenute da un finissimo lavoro di cesellatura letteraria. I personaggi della Hempel affrontano i giorni con la capacità di resistere di chi cresce nel logorio psicologico e paesaggistico di piccoli centri di provincia, giudicanti, ristretti, assurdi e ciononostante tenta di lanciarsi oltre, fosse anche solo per un momento di incomparabile bellezza, con cupa consapevolezza ed ironia. Il messaggio vocale da una zia morta, il confronto illogico con la moglie di uno stupratore, lo stillicidio irriducibile di un’addetta all’igiene degli animali, l’insospettabile prontezza di una donna tradita, il resoconto lucido e allucinato di una donna che vive la vita della figlia che ha abbandonato molti anni prima, sono tutti quadri che salutano da lontano il lettore, immobili nella loro perduta realtà, illustri dentro al coraggio di aver – loro, perché a noi, per ora, è data la posizione privilegiata dello spettatore – esposto l’anima.
“C’è qualcosa da imparare dalle persone sgomente che vedono tutti i loro averi distrutti nel giro di pochi minuti, e che tornano a costruire nello stesso punto appena le ruspe hanno sgomberato i detriti. Di cosa è fatta questa gente? Coraggio e fede arrivano solo fino a un certo punto. È una specie di nobiltà?”
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