È l’autobiografia più discussa del momento per essere stata rifiutata alla pubblicazione dal suo primo editore americano, Hachette, a causa dei rinnovati scandali che hanno colpito l’autore nel 2014, quando Allen viene nuovamente accusato da Dylan, la figlia adottata con Mia Farrow decenni prima, di molestie sessuali, e raccontandosi, Allen non può fare a meno che fornire il suo punto di vista su tutta la triste vicenda che inizierà a colpirlo negli anni Novanta e che minerà profondamente la sua carriera artistica e la sua serenità.
Ma “A proposito di niente” non è solo la storia della caduta di un artista a causa di accuse infamanti, è anche il colorito, ironico, irriverente e per nulla celebrativo, racconto di una vita la cui spettacolarità si mescola ai colori di Brooklyn, New York e Manhattan nelle stagioni e negli anni scanditi dalla sceneggiatura, dalla direzione e dalla produzione di oltre cinquanta film.
Allen si siede e chiacchiera, perdendosi tra i nomi dei produttori, degli artisti, degli attori che hanno incrociato la sua strada, delle attrici che lo hanno folgorato – indimenticabile Diane Keaton di cui dice “Penso che se Huckleberry Finn fosse stato una bella ragazza, sarebbe stato così” – e delle tragicomiche cadute sentimentali con partner psicolabili, di cui racconta gli insostenibili disturbi psichici con lo stile caustico e irresistibile che contraddistingue anche le sue commedie.
Dall’infanzia costretta in un soffocante appartamento di Brooklyn all’attico sulla Quinta Avenue a New York, acquistato ad un prezzo insanguinato per coronare il sogno di svegliarsi tra i colori sfolgoranti del parco in autunno, Allen passa attraverso gli stadi della vita e della gavetta, studente scarso, con una propensione alla lettura di fumetti più che di classici della letteratura, croce della famiglia che vuole vederlo laureato, amante dello sport e grande appassionato di New York, jazzista amatoriale, prestigiatore alla ricerca perenne di un rifugio da una realtà che gli è sempre parsa senza senso, inizia a scrivere battute per comici, e continua a scrivere, con una dedizione e una costanza straordinarie, incarnando appieno il mestiere dello scrittore, fino al lancio della sua carriera di sceneggiatore col film “Ciao Pussycat” che darà il via alla sua ascesa artistica, alle glorie, agli amori ed infine agli scandali.
Idealmente il resoconto di Allen si divide in due parti, una che rimane centrata sulla sua carriera artistica, sul suo modo di inquadrare la vita, senza concepirla o modificarla, tentando di sfuggirle a più non posso, coi film, con la scrittura, con l’immaginazione, e l’altra che invece ruota attorno alle accuse di molestie sessuali che Mia Farrow gli muoverà nel 1992, quando Allen inizierà una relazione con Soon Yi, la figlia ventiduenne adottata da Farrow. Senza entrare qui nel dettaglio, Allen lo fa nella sua autobiografia e racconta lo smarrimento e il dolore provato per una situazione surreale che gli rovinerà la vita.
In costante flirt col suo passato, tra impossibili sedute di psicanalisi, insuperabili gaffe – quella al party nella Villa di Roman, ma non Polanski, è leggendaria -, ristoranti in voga che non sanno servire un piatto di spaghetti alle vongole ma lo fanno pagare un occhio, viaggi in Europa e polizze assicurative sui voli intercontinentali, mantenendo intatta la propensione al tragico e l’attitudine ad affrontarlo con la comicità che proprio da quel tragico attinge, Woody Allen racconta tutto di sé, e non tralascia l’amarezza, ma la rende sopportabile per la cifra umana che lo contraddistingue, per la franca abitudine a vivere, che non gli è mai venuta meno, mestiere da esercitare con la stessa costanza con cui si scrive.
“Sono riuscito a evitare quasi tutte le mille ingiurie naturali, retaggio della carne, tranne la numero 682: non ho meccanismi di difesa di fronte alla realtà”

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