La stanza di Therese, Francesco D’Isa

La Stanza di Therese di Francesco D’Isa, edito per Tunué, è un piccolo gioiello letterario, un volume con una realizzazione grafica molto particolare: un collage di lettere, appunti e immagini che lo rende un vero e proprio amuleto.

 

La storia si sviluppa seguendo il filo delle lettere che Therese scrive alla sorella creando una nuova forma di romanzo epistolare perché alle lettere si aggiunge anche un ricco lavoro di collage, con articoli ed immagini tratti da enciclopedie, scritti filosofici e glosse realisticamente riprodotte in corsivo a margine delle pagine.

 

 

Io lo considero un unicum perché combina la piacevolezza di un romanzo – con una protagonista solida e forte che si fa amare e un’interlocutrice arguta ed invisibile – alla sostanza filosofica di un saggio che si lascia assimilare dolcemente, quasi per osmosi tra dita, occhi e pagine.

La scena è centrata su Therese, una ragazza che fa della sua solitudine un modo per affrontare l’Esistenza e che, spinta dalla necessità di trovare delle risposte al dilemma interiore che la tormenta, si è chiusa in una stanza d’albergo senza rivelare a nessuno dove si trovi e, per escludere ogni possibilità di essere rintracciata, spedisce cartoline finte alla famiglia.
Per riuscire a dare un senso alla sua esistenza, infatti, e perché il suo vivere sia davvero commisurato alla percezione che ha di sé, Therese fugge da persone e cose, senza eccezioni. Gli unici appigli che mantiene col mondo esterno sono le lettere che dal suo isolamento scrive alla sorella.

«Avevi ragione quando dicevi che sono piena di “stupide fisse”, dai collage coi libri al tagliarmi i capelli da sola, ho cucito le mie idiosincrasie su misura dei miei difetti»

Se dunque sembra che Therese parli solo a se stessa, in realtà sta dialogando con l’universo tutto e con un sistema di categorizzazioni da cui prende spunto e slancio.
Perché la storia di Therese abbia un senso essa deve avere anche un destinatario e così, seppur inconsapevolmente, la sorella a cui Therese invia le sue lettere diventa quel destinatario ed è necessaria all’espressione del pensiero, alla formulazione del massaggio, come una sorta di scettico doppelganger, una seconda voce, l’eco razionale che sta dietro al discorso principale e lo movimenta e lo sprona con puntiglioso scetticismo.

Qual è dunque il valore delle cose se rapportato all’infinito? È possibile darne una definizione logica?
Il sogno e la veglia non sono forse entrambi le facce opposte di una stessa realtà?
Therese tenta di dare una risposta a queste domande andando incontro all’infinito coi mezzi che ha e che si sceglie: una stanza tutta per sé, delle montagne di libri che ritaglia, sottolinea, studia e incolla alle pagine che le nascono dal profondo, la sua personale, piccola imbarcazione con cui affrontare l’oceano dell’ignoto.

 

 

E mentre Therese è indaffarata a mettere ordine nel cosmo, tutta assorbita dalle sue ricerche, la risposta che cerca – e che ormai si è insediata anche nella testa del lettore – arriverà a bruciapelo, spiazzante eppure così lecita, solo alla fine del libro.