Senza una sola battuta d’arresto, Il capofamiglia di Ivy Compton-Burnett è un raffinatissimo romanzo corale tutto poggiato sulla forza dei dialoghi, sagaci, lapidari, fatti di battute caustiche e dissacranti.
Al centro della vicenda, imponente nella sua anafettività, spicca il patriarca, Duncan Edgeworth. Abituato ad impartire ordini e ad essere obbedito, Duncan non si cura né delle emozioni della sua famiglia né delle tensioni che vi corrono sottotraccia. Affiancato da una moglie docile e premurosa, Ellen, dalle due figlie ventenni, Sybil – la più mansueta e devota al padre – e Nance – più indipendente e schietta -, e dal nipote Grant, impudente donnaiolo concentrato solo su potere e rendita, il capofamiglia è il massimo esponente del perbenismo alto borghese di fine Ottocento.
Ivy Compton-Burnett, giocando tutte le sue carte migliori, smaschera una società impregnata dal bigottismo, dall’ignoranza – fin dall’inizio della storia l’autrice mette in chiaro le cose e ci fa assistere alla distruzione di un libro scientifico – e dall’attaccamento ai beni materiali, al denaro attorno a cui, alla fine tutto ruota, tutto inizia e tutto finisce, causa scatenante di ogni dramma. I personaggi svelano senza remore la loro vera natura mettendo in risalto la propensione al profitto soprattutto in momenti inaspettati e luttuosi, alimentando una spirale di egoismo algido che pervade l’intera storia.
Concepito come fosse una pièce teatrale che per immediatezza e continua alternanza di voci ricorda da vicino la struttura narrativa di Wilde, e lo stile ellittico di Shakespeare, Il capofamiglia contiene in sé l’ineluttabilità della tragedia senza mai scadere nella prevedibilità. I suoi protagonisti sono lupi travestiti da agnelli, scaltri, narcisisti, seducenti, perversi e, pur apprezzandone la propensione artistica al primato, non si può che prenderne le distanze ritrovandosi spettatori di una dinamica familiare avvincente nella sua irredimibilità.
Il miglior romanzo di Ivy Compton-Burnett, a detta della stessa e anche di Virginia Woolf che la riteneva maestra di scrittura. Poche cose in effetti appaiono più efficaci di questa storia sorretta da uno stile elegante e affilato, giocato tra allusione e omissione, adatto a risolvere in poche pagine la natura sinistra di un intero sistema sociale.
Finora inedito in Italia, Fazi Editore lo pubblica nella bella traduzione di Manuela Francescon.

Devi accedere per postare un commento.