Ha la forma del memoir e l’intensità di un’ode questo splendido romanzo di Eugenia Rico. La protagonista si trova ad affrontare il dramma della morte del fratello, di poco più giovane, sua vera anima gemella, il più amato da tutta la famiglia di un amore devoto, puro, qualitativamente superiore, paragonabile all’amore provato per un figlio.
German, fratello adorato, creatura di spiccata sensibilità e bellezza, è strappato improvvisamente a questa vita terrena e la sorella si dà pace. Per lei inizia un periodo di introspezione profonda che da una parte la porta a riconsiderare se stessa, e dall’altra a ricordare tutti gli episodi passati col fratello in chiave esistenzialista.
Le parole diventano momenti di infanzia e di adolescenza, sono ore e attimi prima che German scompaia ai sensi ma non al cuore e instaurano un legame sottile ed inscindibile tra vita e morte; il tempo stesso assume significati diversi e l’ottundimento per una perdita così grave e sentita si trasforma in crisi identitaria per poi risolversi in qualcosa di più grande ed esclusivo.
“Mi piacerebbe lasciare la mia stanza di oggi per il luogo in cui sei. Come se il tempo fosse un posto in cui si può andare, da cui si può tornare. Non credevo alla morte. Come potevo credere a ciò che non avevo visto?”
La morte bianca è riconoscersi nell’unione degli istanti, dei dubbi e delle certezze ed è un percorso trascinante, dalla prima all’ultima riga, in un perpetuo movimento di maree che scandisce il tempo di chi è mortale.