Preziosissimo questo racconto che ci giunge dal lontano Ottocento, apparteneva ad una schiera di racconti che la Alcott – sotto pseudonimo – pubblicava a puntate su delle riviste o giornali e tenendo sempre viva la tensione dal retrogusto gotico per per invogliare il lettore a comprarne il seguito. Questo è l’unico, stando al saggio che introduce il volume, che la Alcott riconobbe come suo in vita ed effettivamente, leggendolo, si ritrovano gli elementi di grazia e furbizia caratterizzanti“Piccole donne” e un interessante stacco gotico verso la metà della storia, dove il mistero si insinua tra le pieghe del racconto sotto le sembianze di un castello stregato.
La storia è fittamente e graziosamente articolata sulla perdita di un paio di guanti, un po’ come la scarpetta di Cenerentola, e la protagonista che è Amy – forse da qui l’idea per la più piccola delle sorelle Marsh? – , vuole assolutamente incontrarne il proprietario.
A bordo di una nave e poi in giro tra Germania e Svizzera al seguito di una strana guida e di un altro curioso personaggio, Amy e la sua amica Helen troveranno molto di più che il proprietario di quei guanti.
Scritto ammirevolmente e con l’eleganza che contraddistinse sempre la Alcott, I guanti del barone o La storia di Amy, è un romanzo breve che si gusta insieme a un po’ d’aria di altri tempi. Incantevole e di pregio.
“Una leggenda narra che un tempo il proprietario del castello si dilettasse nell’adescare i viaggiatori, li facesse dormire in quella stanza, e tentasse poi, con ogni mezzo, di attirarli laggiù. Qui, sul primo gradino dell’entrata si apriva una botola dalla quale gli sfortunati precipitavano in una segreta, che si trovava sul fondo della torre, e lì morivano”