Svegliare i leoni – Ayelet Gundar-Goshen

Svegliare i leoni di Ayelet Gundar-Goshen può essere annoverato a pieno titolo nella categoria dei libri irresistibili, perché per  esserlo non gli manca nulla: ha una trama formidabile, ad alta tensione, e una scrittura scalpitante, formosa, che fa cavalcare ogni capitolo con l’impazienza di scoprire che piega prenderà la storia.

Fin dalle prime righe il chiaro intento della Gundar-Goshen è quello di sbalzare il lettore dalla poltrona fino al deserto del Negev per catapultarlo dentro ad una notte di luna piena, quando un fuoristrada rosso corre a tutta velocità tra le dune di sabbia ed investe un uomo.
L’acceleratissimo battito dell’uomo alla guida rallenta di colpo.
Il cuore messo alla prova è quello di Eitan Green, giovane ed integerrimo neurochirurgo che, improvvisamente, si trova a fare i conti con qualcosa di enorme: l’eritreo che ha appena investito è spacciato, per professione sa che non potrà salvargli la vita in alcun modo. Prestargli soccorso servirebbe solo a condannare se stesso.
Così Eitan Green fa una cosa che non avrebbe mai creduto di poter fare: scappa, abbandonando un uomo moribondo al suo ineluttabile destino.
La mattina seguente, però, non appena la moglie e i figli escono di casa, alla porta del dottore bussa una donna misteriosa: è bellissima, ha la pelle più scura della notte e con sé ha anche il portafoglio che il dottore ha perso nel deserto, chiaramente è lì per ricattarlo, ma non sono i suoi soldi quello a cui mira.

Tutto questo accade nel primo capitolo del romanzo e pone le basi per una storia che straripa di colpi di scena e di personaggi vividissimi. La trama, mai scontata, non smette di stupire, ogni capitolo è come un fuoco d’artificio e sembra l’episodio di una serie televisiva ad alta tensione.

Nel corso del romanzo, Green e sua moglie Liat si troveranno faccia a faccia con aspetti di sé mai conosciuti prima, sia come individui che come coppia, sopra le loro teste, come una spada di Damocle, incombe la domanda “come mi sarei dovuto comportare?”, i luoghi che dovranno esplorare non saranno soltanto vicine e sbalorditive realtà esteriori ma anche sconosciute realtà interiori. La violenza che scorre sottoterra, come acqua di fogna, non è così diversa dalla furia che fluisce sotto le vene.
La Gundar-Goshen mina, un pezzo alla volta ogni certezza, lasciando aperta la questione sull’ambiguità della natura umana e rendendo palpabile, come sabbia che sfugge, questa fragilità che ci compone e che allo stesso tempo non può appesantirci.

“Ha affondato i piedi nella sabbia, calda e liscia. Il vento l’ha portata qui e il vento la porterà via e va bene così perché la sabbia non ricorda. La sabbia non sa dov’era ieri e dove sarà domani. Se fosse altrimenti, se la sabbia ricordasse tutti i posti dove è passata, diventerebbe talmente pesante che nessun vento riuscirebbe a spostarla”

E poi c’è Sirkit, la strega dagli occhi buissimi, la sirena, il pensiero che cresce, come un’onda inarrestabile, il polo magnetico e il fulcro di tutto il romanzo, la vera perla nera del deserto attorno a cui ruotano come ipnotizzati tutti gli altri personaggi, è lei la chiave del mistero umano, ed è uno dei più bei personaggi letterari femminili di cui abbia letto fino ad ora, un personaggio così forte che pare sollevare la storia sulle sue braccia per porgerla al lettore.

Questo romanzo pulsa come sangue nelle vene, grida per la sopravvivenza o meglio, ruggisce, come fanno i leoni quando si svegliano.
Un libro irresistibile, che morde e tiene sospesi per tutta la storia, allentando la presa solo al momento giusto, forse, quando sarà l’ora di chiuderlo.