C’è un uomo che, nel bel mezzo della notte, si ritrova sui binari di una ferrovia, sente il rumore di un treno in arrivo, si china a toccare il metallo freddo delle rotaie, lo sente vibrare, ancora non sa cosa fare, poi, improvvisamente, cala il buio, è come la luce di un flash quando la carica si è esaurita, lascia echi luminosi tutt’intorno.
Teo si risveglia nel suo letto, è stordito, non gli è ben chiaro cosa sia capitato la notte precedente, il telefono squilla, è il suo migliore amico, i due parlano per un po’, decidono di vedersi, lentamente la nebbia che ha in testa si dipana.
La mente di Teo a tratti vacilla, ha allucinazioni e amnesie temporanee, questa situazione è destinata a peggiorare velocemente perché Teo ha un tumore al cervello che non gli lascerà scampo.
Adesso la sua vita ha il filtro della malattia crudele, quella che non lascia possibilità di fuga, quella a cui non si può neanche pensare perché pensarci significherebbe morire prima del tempo.
E, difatti, Teo non ci pensa e non ne parla, oltre a lui solo due persone sono a conoscenza del male che, un pezzo alla volta, lo sta cancellando dal mondo.
Fin dall’infanzia Teo ha una capacità particolare, scatta foto con la mente, le fissa nel suo cervello, le rende immortali e sarà forse anche per questo che di mestiere fa il fotografo.
Ha girato tutto il mondo, ha magistralmente catturato le immagini di tutti i posti in cui è stato, ma dietro di sé ha lasciato più di un vuoto.
Ora che sta male, la vita ridotta ad una serie di immagini, pochi scatti strappati al tempo, al destino, ai ricordi, imprigionato dal carceriere più crudele, Teo ha deciso di mollare il lavoro e andarsene, chissà dove, chissà per dove, e di portare con sé come unica compagna, anche stavolta, la sua Nikon.
Ma, quando tutto sembra essere ormai deciso, a Teo capita tra le mani qualcosa che gli fa cambiare idea: dentro ad una cartelletta azzurra, scritta a mano, sotto forma di diario, c’è la storia di un uomo misterioso, il signor P.
Teo decide di seguirne le tracce forse perché andare alla ricerca di P. potrebbe rivelargli qualcosa anche su di sé.
Lungo la strada Teo incontra Arianna, brillante ed incantevole creatura, scintillante riflesso della sua stessa anima: sarà proprio lei ad indicargli un posto dove andare e un posto dove poter, finalmente, stare.
Il romanzo collega con grande semplicità e chiarezza le diverse storie dei personaggi, seguendo un andamento quasi musicale, fatto di accelerazioni e pause, di storie vissute sul filo dei secondi e di antichi racconti che si fluidificano, perdendosi nella notte dei tempi.
Attraversare queste storie è un po’ come attraversare la vita, cercare di capirla, di accettarla, di strapparle via qualcosa, comunque sia, a qualunque costo, fino all’ultimo respiro.
Teo affronta i suoi ultimi giorni con addosso l’armatura che si è scelto, un giorno, per caso: una t-shirt nera, il ritaglio cucitogli addosso di quell’abisso in cui deve, per forza, guardare.
“Qualche minuto dopo è in camera. Si sdraia sul letto, appoggia la testa sul cuscino e ascolta il proprio respiro, poi si volta su un fianco e apre il cassetto del comodino: le cinque t-shirt sono lì, mute. Indossarle potrebbe diventare il modo per contare il tempo. Un attimo prima di chiudere gli occhi si chiede se basterà guardarlo, il nero, per potersi salvare”
Delicatamente, sviluppando le immagini della storia come fossero negativi fotografici, il racconto si svela e rivela la vita.
Vivere, guardare il cielo, ascoltare la voce di chi si ama, scoprire che c’è sempre un modo per ritrovarsi e, alla fine, farlo.
La storia di Teo penetra nelle parti più disperate dell’animo umano e dissotterra le qualità migliori – e forse dimenticate – di un uomo che continua a vivere nonostante tutto, anzi, in forza di tutto.
Un bell’esordio, potente, lucido e sincero, che sorprende piacevolmente e, attimo dopo attimo, fa affezionare ai personaggi di cui racconta e, quando questo accade, vuol dire che la storia è entrata a far parte anche di noi.
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