Ormai appassionata dalla vita di Marylin , dopo “Fragments” e “Blonde”, recensiti anche su questo blog, ho, seguendo la bibliografia riguardante l’attrice, pensato bene di leggere anche questo piccolo volumetto “La mia settimana con Marylin” di Colin Clark e di guardare il film che questo libro – sensazionale a detta di molti – ha ispirato.
Il film vanta un cast di ottimi attori e mi sono lasciata convincere dai nomi e dalla curiosità. Mi sono infatti domandata cosa avessero a che fare Kenneth Branagh e Judi Dench con una storia che riguardava la parentesi inglese di Marylin Monroe.
La risposta è stata che, nulla, non avevano nulla a che vedere con Marylin, però erano inglesi e, mentre – chi ha visto “Il principe e la ballerina” lo sa – il film in cui la Monroe si trova a recitare per la prima volta con Laurence Olivier, acclamato attore di teatro e regista del film, poggia tutto sulle spalle dell’attrice americana -, il film “Marylin”, prodotto più di cinquant’anni dopo la morte dell’attrice e che parla dei retroscena delle riprese de “Il principe e la ballerina”, si regge solo sulla bravura dei due attori britannici.
Senza soffermarmi ulteriormente sulla trasposizione cinematografica del libro che, come si sarà intuito, mi ha abbastanza delusa, passo a raccontarvi un po’ di più di questo piccolo romanzo.
I personaggi sono tutti realmente esistiti, Colin Clark, figlio di un’importante famiglia inglese, trovò il suo primo lavoro proprio grazie ai genitori che gli procurarono un posto come assistente regista presso Olivier durante la lavorazione del film in cui per la prima volta recitava al fianco di Marylin Monroe.
La storia viene raccontata sotto forma di diario.
Qui iniziano a venirmi i primi dubbi: infatti, a detta dell’autore, in questo diario, egli aveva registrato ogni singolo momento di quella sua esaltante prima esperienza lavorativa, tutto perfettamente annotato, tranne nove giorni, i nove giorni che Clark avrebbe passato con l’attrice in una specie di segreta vacanza di cui nessuno, a parte i due interessati ovviamente, conobbe i fatti come realmente si svolsero.
Se non volessimo dare fiducia a Clark – che può essere lecito visto che a parlare di Marylin si sono sempre fatti dei gran soldi -, allora, il fatto che lui dica di aver ricostruito quei giorni insieme alla diva solo più tardi, raccontando la strana storia di una lettera scritta ad un amico, basterebbe a farci posare il libro.
Se invece la scelta fosse quella di dargli comunque fiducia e vedere dove voglia andare a parare, allora si procede – come ho fatto io – con la lettura (ammetto di essermi inoltrata con molta curiosità tra le pagine di questo libro, forte dei diversi documentari visti e della magnifica biografia di Norman Mailer, “Marylin”, letta, che mi ha fornito, insieme agli altri testi sull’attrice citati più sopra, una linea guida importante per tentare di distinguere il vero dal falso).
Il libro si legge agevolmente, lo stile è semplice e si focalizza sugli aspetti che catturano l’attenzione del lettore fin da subito: i retroscena burrascosi delle riprese, i continui scontri tra Marylin e Olivier, Olivier che non risparmia le volgarità davanti all’attrice e l’attrice che, a volte, gli risponde a tono e altre invece, più fragile e quasi incapace di parlare, si abbandona tra le braccia della sua insegnante di recitazione.
Si racconta dei continui ritardi di Marylin, dei giorni di riprese persi a causa delle inadempienze dell’attrice e del clima di tensione che si generò sul set.
Dentro a tutto questo trambusto si infilano i nove giorni in cui Colin Clark se la sarebbe “spassata” con la diva, portandola via da quel mondo stressante che la opprimeva, facendola sentire più Norma e meno Marylin, rispettandola e ottenendo da lei tutta la fiducia del mondo – pare che Marylin sarebbe addirittura arrivata a chiamarlo nel cuore della notte più di una volta, contravvenendo all’etichetta e alle raccomandazioni fattele dai suoi collaboratori.
Dal romanzo esce una Marylin in lacrime, stordita dagli psicofarmaci e dall’alcool, preda di dolori lancinanti al ventre, vittima di un marito – a quel tempo Arthur Miller – che non la ama, bisognosa di conforto e protezione come una bambina, capace, se adeguatamente spronata, di dare comunque il meglio di sé sul set. Si intuisce solo lievemente la profondità della donna che era invece Marylin.
In questo diario l’attrice è la comparsa e la comparsa è il protagonista.
Ora, ci sono dei passi molto belli nel libro:
“Marylin è indefinibile. E’ come possedere il quarantanove per cento di un sogno”
riferisce di lei Milton Greene, suo socio nella “Marylin Monroe Production”.
Poi ci sono invece fatti che mi riesce difficile far passare per veri, perché nella mia testa Marylin è più di come viene descritta qui.
Non mi sono comunque pentita della lettura, tolti i fattoidi, infatti, qualcosa di quella che fu l’ultima vera diva di Hollywood si intravede.
Consiglio, se volete capire cosa intendo quando affermo che quel film si basò tutto su Marylin, di vederlo: guardate “Il principe e la ballerina”, Marylin diede tutta se stessa in un’interpretazione davvero superba.
Impossibile non amarla.
Sara Manfroni © Riproduzione riservata
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