“Acqua nera” di Joyce Carol Oates è un piccolo libro dalla strepitosa intensità.
Basato su una vicenda realmente accaduta e mirabilmente sviluppata dalla scrittrice sotto forma di romanzo, l’opera racconta, attraverso gli occhi di Kelly, la protagonista, cosa si provi a restare vittime di un incidente stradale e ad essere ancora coscienti mentre la vettura, nella quale si è rimasti intrappolati, si inabissa in una polla di acqua torbida che, poco per volta, minuto interminabile dopo minuto interminabile, cerca di portarsi via tutta l’aria e con essa la vita che vi è legata.
L’introspezione psicologica dei personaggi, incentrata soprattutto su Kelly, è tragicamente perfetta e ancora una volta la Oates – come già ha fatto in altri suoi bellissimi lavori, tra cui posso citare e consigliare “Sorella mio unico amore” – restituisce il ritratto di una società americana ammalata, dove apparenza e potere la fanno da padroni , condannando a morte esseri umani invischiati da tempo in una ragnatela di convenzioni e sensi di colpa da cui non usciranno vivi.
Passando continuamente da stati di lucidità a stati di semi-incoscienza, assistiamo alla tragedia che si compie, contemporaneamente conosciamo i fatti che l’hanno preceduta e, in un precipitare di emozioni, ci accorgiamo di esserci ormai calati nei panni di Kelly, immedesimandoci a tal punto che il suo lottare per restare in vita diventa anche il nostro.
Ecco cos’è questo romanzo, una strenua lotta, condotta fino alla fine, fino all’ultima pagina, fino all’ultima bolla d’aria da cui poter recuperare attimi preziosi di vita:
“Ami la vita che hai vissuto, non ce n’è un’altra”.
Prendete allora una bella boccata, che vi basti per un paio d’ore, e tuffatevi in quest’ennesimo capolavoro della straordinaria Oates.
Sara Manfroni © Riproduzione riservata
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