Ho appena finito di leggerlo, ma mi è piaciuto così tanto che non ho resistito alla voglia di scrivere qualche riga sull’ultimo romanzo della Nothomb, Riccardin dal Ciuffo.
Si tratta della rivisitazione – una bella rivisitazione – in chiave moderna della più antica favola di Perrault, Enrichetto dal ciuffo: un principe dall’aspetto orripilante cela dentro di sé la vera bellezza che è quella del cuore e, dopo mille peripezie, incontrato il vero amore, trionfa sulle apparenze e corona il suo sogno di felicità.
La Nothomb da una fiaba per bambini, ancora una volta, fa sgorgare un capolavoro adatto all’ immaginazione di un pubblico adulto.
La storia scende fin da subito in profondità, penetrando nelle vite dei due protagonisti, Deodato, giovane esteticamente disgraziato con, però, un’intelligenza e una consapevolezza fuori dal comune e Altea, fanciulla di ineguagliabile bellezza considerata però una minorata mentale, che, seppur per motivi opposti, finiscono per diventare due emarginati sociali.
L’autrice li presenta che sono ancora in fasce e poi lascia che Deodato e Altea raccontino a due voci la loro storia.
La sensibilità mai scontata o banale che sprigionano è di una delicatezza e di un’intelligenza tali da farceli adorare. Il maschile e il femminile si svelano nelle loro intimità, inconciliabili, eppure così indissolubilmente legate tra di loro.
Pregiatissimi i riferimenti letterari all’interno della storia: I gioielli, poesia censurata di Baudelaire che torna a parlare, storia dentro la storia, di seduzione, incanto, luce e melodia e la Commedia Umana di Balzac che ricorda la possibilità dei lieto fine anche nelle storie d’amore.
Per spiegare quanto di bello ci sia nelle pagine di Riccardin dal ciuffo bisognerebbe poter usare tutti e cinque i sensi e se dicessi che, anziché scrivere, la Nothomb ricama seguendo la trama della più segreta umanità, ancora non renderei l’idea.
Ne cito perciò almeno un passo, incantevole, capace di gratificare del tutto la mente:
“Nessuno conosceva l’età di Malvarosa. Questo mistero rafforzava l’ipotesi che venisse da un’epoca radicalmente altra, in cui le carte d’identità non esistevano e le ragazze di sedici anni potevano decidere tra il mestiere di fata o quello di strega. Malvarosa sembrava non aver scelto, dal momento che aveva qualcosa sia della strega che della fata”
Il piacere che provo ogni volta che leggo qualcosa di Amélie Nothomb mi lascia trasognata, con un sorriso beato in viso e gli occhi che già guardano lontano.
Io credo che sia questo il miracolo che fa la Nothomb: adattare le favole al mondo degli adulti e poi, dopo averle rese possibili, fare sognare di nuovo tutti azzerando limiti di età e confini tra fiaba e realtà.
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