Se c’è una cosa che ho imparato leggendo Joyce Carol Oates è che niente è come sembra e che la mente umana è il più insidioso dei labirinti.
In NOTTE AL NEON, una raccolta di nove racconti magistralmente tradotta da Claudia Durastanti, la regina del thriller psicologico dà, ancora una volta, il meglio di sé.
Il confine tra bene e male non è mai stato così sottile, quasi combaciasse con un’idea confusa tra ciò che è reale e ciò che lo è solo per qualcuno. Basta oltrepassare quel confine sottilissimo e la ragione si stravolge in una massa oscura, che ha le sue impreviste ragioni, certo, ma che sfocia in una pazzia sfrenata, nella dissociazione percepibile tra il personaggio che Oates mette in scena e noi che lo seguiamo.
Il bacino da cui Oates pesca è quello della quotidianità, casalinghe psicotiche, insospettabili benefattori, omuncoli sbilenchi e poco raccomandabili, predatori impazziti, fino ad arrivare ad una delle donne più celebri e sfruttate di sempre: la sfortunata, fragilissima Marilyn Monroe (leggete, vi prego, MISS GOLDEN DREAMS 1949, il racconto allucinato di una donna, un clone di Marilyn, messa in vendita all’asta).
Nessuno di noi è al sicuro, mai, anche se siamo persi nell’illusione che sia così. Forse non siamo al sicuro neppure da noi stessi. Non siamo al sicuro neppure nei nostri rassicuranti quartieri, dove ci sembra di conoscere tutti. È questa l’America di provincia che la Oates vuole raccontare, una dimensione che traballa nella sua invisibilità e nel disagio che colpisce molti. Un’azione di denuncia al degrado oltre che opera letteraria di finissima fattura.
Il New York Times, nel suo commento a questa superba raccolta, ribadisce che “il senso d’impotenza è l’essenza dell’orr0re”.
E mi trova d’accordo,perché è in quell’attimo di lucidità in cui si percepisce l’imminente tragedia che la mente umana vacilla, a volte per sempre.
NOTTE AL NEON è una raccolta spiazzante, e lucidissima, disseminata di luci puntate sulle nostre peggiori oscurità.

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