IL TENENTE – ANDRE DUBUS

Dove sono le crepe è lì che cade l’occhio dello scrittore attento, interessato agli sconvolgimenti, grandi o piccoli che siano, quelli che mantengono l’essere umano in tensione e magari, strattonandolo, lo faranno inciampare, mettendolo alla prova fino a che non si sarà completamente rivelato.

Dubus è lo scrittore della fragilità, sia per deformazione psicologica – la vita lo colpì duramente costringendolo giovanissimo su una sedia a rotelle – sia per deformazione professionale, i suoi racconti – capolavori di perfezione tecnica e veduta – lo abituarono a sviluppare in profondità e immediatezza la sua scrittura e a mantenersi perfettamente in equilibrio tra ciò che è necessario dire e ciò che è necessario tacere.

IL TENENTE è il suo primo e unico romanzo e si svolge tutto tra le pareti corazzate di una portaerei della marina americana. Sono certa che la scelta dell’ambientazione fu strategica, perché permise a Dubus di lavorare sia sulle sue competenze di ex-militare, sia di smantellare la rigidità di un mondo fatto di rituali e apparenze, un universo a parte in cui non era permesso sbagliare, o venire meno a quei doveri coercitivi imposti dall’alto, prove tribali richieste da una società che pretendeva impeccabili macchine da combattimento al posto di uomini in carne e ossa.

Ma natura vuole che nelle vene dei militari scorra lo stesso sangue dei civili e con esso gli stessi dubbi e gli stessi errori.

La storia si apre allora su uno di questi incidenti: un atto di bullismo ad opera di alcuni marinai scelti, una grave effrazione al regolamento che getterà il nuovo ed inesperto tenente Daniel Tierney dentro ad una spirale di psicosi e prese di coscienza impreviste.

Cosa sia un marine, quali sentimenti abbia, a quali prove, anche di omertà, sia sottoposto non è motivo di indagine frequente, mentre il romanzo di Dubus segue questa direzione con grande decisione e una delicatezza sorprendente, non solo per il tema trattato, che sfiora quello che nel 1967 – quando il romanzo fu scritto – era considerato tabù, vale a dire il sospetto dell’omosessualità tra le fila dei marines, ma anche per il modo in cui si decide di rivelare la psicologia dei personaggi, distillandola, rendendoci spettatori privilegiati del loro percorso psicanalitico.

Sono pur sempre uomini quelli che si stendono sulle brande la sera e che, invece di pensare alla classica fidanzata lontana, finiscono a far rissa nei bagni delle camerate. Sono uomini che vengono giudicati e addestrati secondo un codice d’onore che Dubus critica apertamente, senza il timore di mostrarne i grossi limiti e la micidiale pericolosità.

Daniel è un tenente che mai si è amalgamato a questo insieme di regole, un soldato sprovveduto eppure umanissimo che si trova a dover affrontare uno scandalo che potrebbe spazzarlo via dal corpo dei marines e che, per posizione, lo costringe a decidere di più vite, inclusa la sua.

Criticando apertamente e condannando il machismo della macchina militare e della società americana tutta, Dubus compie, come il suo protagonista, un atto di grande coraggio e si riunisce alla sua storia personale, fatta di rinunce e di atti eroici.

La vita di ognuno di noi è segnata da scelte ben precise, i criteri in base a cui si compiono tali scelte sono vari e suscettibili di mille variazioni nel tempo, e di certo Dubus non è così ingenuo da perseguire, coi suoi personaggi, unicamente la virtù.

Quel che ne esce è il ritratto più che verosimile di un’umanità caracollante, seppur nascosta sotto i lustrini delle uniformi, e il suo tentativo, a volte moralmente scorretto, di restare a galla, cosa che non è riuscita neppure alla più solida delle portaerei una volta scontratasi con la penna di Dubus.