ASSASSINIO NEL VENTO – John MacDonald

Immaginiamoci un vento orribile, sferzante, una forza ciclopica e impietosa che divelle alberi e case, che spazza via qualsiasi cosa incontri sulla sua strada. Immaginiamocelo mentre incombe sulla Florida degli anni Sessanta, seminando ovunque morte e rovina.


Adesso immaginiamoci anche un gruppo di persone, un manipolo di disperati che più vario non si poteva – una vedova che gira con l’urna del marito sotto braccio, tre avanzi di galera poco raccomandabili, un agente segreto sotto copertura, due uomini d’affari ormai in rovina e la classica famigliola americana con due bimbi -, che cerca un riparo d’emergenza, perché le strade sono impraticabili, gli alberi caduti hanno interrotto ogni via di comunicazione e la furia dell’uragano aumenta di minuto in minuto.
Il riparo eletto, l’unico possibile, è una casa di campagna, tutta pericolante, tenuta insieme da vecchie assi di cipresso. Una di quelle classiche case che suscitano subito diffidenza e orrore, una di quelle alle cui finestre giureresti di aver visto un fantasma.
Eppure quella è la sola costruzione che ancora resiste agli sforzi di abbattimento della natura e, sotto la pioggia assassina, si staglia come l’unica scelta possibile per il gruppetto in difficoltà che, evacuati i rispettivi veicoli, si carica di poche cose, alcune delle quali del tutto inadeguate, e si guadagna a fatica la soglia di casa.


Ed eccoci arrivati al dunque. John MacDonald ha creato una situazione perfetta, mettendo all’angolo un gruppo di estranei, inserendoli in un contesto chiuso, una trappola senza via d’uscita. Ognuno dei personaggi che l’autore sceglie è sotto pressione, la sua vita in bilico, e ogni reazione è del tutto imprevedibile.
Succede spesso che, quando qualcuno è messo alle strette, salti fuori la sua vera natura e si riveli violentemente per ciò che è, nel bene e nel male.
Tutti i componenti di questa orchestra umana che l’autore – uno dei migliori a mio avviso e più esperti in materia di thriller – colloca sulla scena, sta già vivendo un dramma personale. Sono tutte persone che camminano sul filo del rasoio e che ci camminavano ancora prima che arrivasse l’uragano a complicare le cose.


È vero, a pensarli tutti così, mentre cercano di occupare ognuno una stanza, trascinandosi dietro le proprie ferite, che siano dell’anima o del corpo, sembra di sentir risuonare un altro nome famoso, quello di Agata Christie. Ma MacDonald va oltre il genere, il suo è solo un pretesto narrativo per forzare la natura umana e mostrarcela, rivoltandola sotto i nostri occhi, nelle sue debolezze, nelle sue idiosincrasie, nei suoi tragici sbagli. Con la storia dell’uragano, MacDonald alza la temperatura innescando un processo irreversibile e, quando l’aria trova finalmente una via di fuga, ci fa scappare pure il morto.
Non un delitto della camera chiusa, quindi, come apparentemente potrebbe sembrare, ma l’analisi cruda, condita da una decisa cognizione del dialogo, fatta di battute al vetriolo ed esternazioni prosaiche su quel che siamo, sulla perdizione e sul riscatto, sulla condizione umana, una condizione fragile, delle cui sorti non disponiamo e, nonostante questo, dell’accanimento che ci muove l’uno contro l’altro – nel peggiore dei casi – o l’uno verso l’altro a dare sostegno, a fare ciò per cui ragionevolmente ci sembra di essere stati messi dove siamo.
È così che ASSASSINIO NEL VENTO è concettualmente assimilabile ad un Big-Bang, uno spazio e un luogo deciso dalla natura, in cui tutto si fa e si disfa; così come poi è anche nella vita di ogni giorno, anche se non ce ne accorgiamo.

Allora forse ci sovvengono alcune parole più antiche e forse anche i contorni di persone che vagano, in eterno, con le mani sugli occhi, sospinte da un vento invincibile.
Ma qualcuno le stelle, poi, le ha riviste.