MEDUSA – Martine Desjardins

È nell’antico mito della Gorgone che Medusa, della scrittrice canadese Martine Desjardins, affonda le sue radici, ed è nella cupa, inaccettabile condanna della diversità che dispiega le sue ali.

Medusa è il marchio d’infamia che è stato apposto alla sventurata protagonista del romanzo dalla sua stessa famiglia. La storia, che viene presentata come se fosse un resoconto, ripercorre la vita della ragazza partendo dall’inizio, quando era solo una bambina. Nata diversa, con una mostruosità che, sconcertante, prende forma nella mente del lettore. La piccola, oggetto di una feroce ed inestinguibile repulsione da parte dei genitori e delle sorelle, dopo anni di sevizie e punizioni (non le è permesso uscire o passeggiare per casa, non le è permesso di sbendarsi gli occhi, perfino il permesso ad esistere è messo costantemente in discussione), viene segregata in una struttura molto particolare: l’Athenaeum, coacervo di inimmaginabili disgrazie rovesciate come colpe infamanti sulle donne che vi sono recluse.

La Desjardins costruisce e ricostruisce un luogo immaginario, il sacro tempio del gotico e del paradossale, popolato di creature sbagliate, tristi fenomeni da baraccone incolpevoli del proprio destino, incastrati da un orrore ben più grande: la finta normalità degli aguzzini che riflettono l’intero, aberrante sistema a cui tutti soggiaciamo.

E Medusa, che si aggira per i corridoi di questo ricovero di afflitte, finisce per incarnare il simbolo della vendetta; dietro la benda un’arma micidiale dal nome cangiante e feroce, una potenzialità inconoscibile e letale: le sue Afflizioni, le sue Mostruosità, quelle cavità dove tutto si perde e si pietrifica, gli abissi oscuri dai quali nessuno, dopo averci guardato dentro, è mai riuscito a tornare, il crepaccio infernale in cui la morbosa curiosità del mondo si annienta.

Eppure, il mito ci dice che qualcuno a quello sguardo è sopravvissuto e che tale sopravvivenza ha un costo, che la Desjardins ha deciso di saldare ancora prima del confronto finale.

Ne risulta che Medusa, creatura misteriosa e tra le più affascinanti di tutti i tempi, invincibile fiera ingiustamente perseguitata per una difformità che la innalza, mutua dalla mostruosità mondana la spietatezza senza mai assorbirne la mediocrità, stagliandosi fiera nel cielo tumefatto di un incubo costellato di cadaveri, viltà e marciume.

Con questo suo pirotecnico e dirompente romanzo, la Desjardins coglie il significato profondo dell’ingiustizia e ce lo offre, deforme testa mozzata cristallizzata nel suo ultimo urlo, estrema summa di ogni abuso, esponendoci all’incontrovertibile rischio della comprensione.

«Quale rifugio resta dunque ai mostri come me? Il centro di un labirinto? Un riparo nei Carpazi? Gli abissi infernali? Lei, Medusa aveva potuto fuggire all’altro capo del mondo, su di un’isola dalle rocce scoscese dove venivano pietrificati gli sciagurati che avevano l’ardire di avventurarsi. Ma io non avevo quel lusso. Per me l’istituto era ciò che più assomigliava a un’isola lontana»