Un cristallino e profondo tuffo nel Sudest degli Stati Uniti agli albori di un Novecento duro, pietroso. È questo che ci fa fare James Still con la splendida raccolta di short-stories recentemente pubblicata da Mattioli 1885: L’INCENDIO DELLE ACQUE.
Lo sguardo dell’autore si sofferma sugli attimi così come sulle parole, pochi, incisivi, abrasi e ruvidi come gli inverni nei boschi del Kentucky, profumati e infuocati come le stagioni di sole nei campi minerari. Casupole di lavoratori che si estendono a perdita d’occhio fin sulle colline, odore di stoviglie e fiere di paese, acrobazie esistenziali, miracoli spiccioli che portano con sé una salvezza evanescente, la sola che si lasci avvicinare dall’uomo.
In mezzo ai suoi personaggi, vestiti di stracci e scarpe logore, rivolti ad un sogno che intuiscono appena e rincorrono malamente, Still coglie la disperazione dalle radici, la segue nascere e crescere all’interno delle loro famiglie e della loro miseria – così tanti figli che i nomi propri abbandonano la scena a favore degli ordinali, brodi di radici annacquati in modo da bastare per cinque, incastri di tronchi eretti sulla nuda roccia come alloggi, privi di aperture per le finestre, ma con spiragli larghi quanto il palmo di una mano in cui il vento notturno si insinua, salendo dai campi circostanti, umidi e deserti.
Eppure la disperazione e la povertà, in Still conservano e sprigionano un potente nucleo di umana ironia, la capacità di saper stare al mondo, arrabattandosi, adattandosi darwinianamente ad una realtà inospitale, rimodellando le proprie grandi speranze in qualcosa di più piccolo e coglibile. Colonna portante di queste esistenze un po’raffazzonate, e per certi versi davvero sgangherate, che in un paio di racconti sfiorano la parodia e anticipano il tema del meraviglioso Burtoniano – la donna più imponente del mondo, spettacolo senza pari, la pozione miracolosa che salva da ogni malanno -, è l’accoglimento della propria situazione, l’arrendevolezza che sopraggiunge e si tramuta in allegria solenne.
In questi suoi racconti Still insegue l’umanità intera e la sorprende, all’interno delle proprie fragilità e frustrazioni, persa nel rancore, annebbiata da uno svantaggio di cui nemmeno si rende conto, riabilitata dal proprio potere evocativo, che trasforma le pannocchie in bambole, e gli incubi in specchi per le allodole.
Così, la prosa poetica e distillata di questo grande autore americano ci coglie di sorpresa e ci mantiene sospesi, a tremare nella notte davanti al contorno sconosciuto di un’ombra o di un’impronta appena scorta, a oscillare nel giorno, dispersi nelle rotondità riflettenti della rugiada che va scivolando a terra, ubriachi di speranza, delusione e di tutto quello che non ci immagineremmo e che non tentiamo – perché non lo vogliamo – di prevedere.
«”Nemmeno una strega riuscirebbe a scovare la mia tana” diceva. “Lì ho qualcosa che ti farebbe strabuzzare gli occhi”»
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