NEROCONFETTO – Giulia Sara Miori

Tra i più grandi scrittori di racconti gotici ci sono: Edgar Allan Poe, Henry James, Shirley Jackson e Giulia Sara Miori. Sì, una scrittrice italiana, che ha pubblicato da poco la sua prima raccolta di racconti – NEROCONFETTO – per Racconti edizioni. Se vi pare che stia esagerando, provate ad immaginate il mio stupore da accanita ed esigente lettrice horror quando mi sono accorta che la Miori era riuscita a dare nuova voce non solo ad una tipologia narrativa complicatissima come quella del racconto di genere, ma che al genere era riuscita ad andare oltre, con una letteratura alta e universale, colta nei riferimenti – Ligeia e Giro di Vite, ad esempio ­– incentrata su un quotidiano perenne, che in un modo o nell’altro ci ammorba tutti.

Pur non intendendo le nostre esistenze come una gigantesca camera oscura, dobbiamo cedere al fatto che quello del “gotico” è un concetto che ci appartiene, uno dei lati che caratterizzano la vita e che, in certe in occasioni, attraverso l’istintivo meccanismo della paura, prende il sopravvento sul resto e si trasforma in ossessione, paranoia, perdita di controllo.

La Miori insiste su questo sottile aspetto del terrore, quello che scaturisce dal pensiero e che oscilla tra una realtà subdola, e ingiusta – che ci va stretta, insomma – e lo scherzo mentale. Non c’è nulla che faccia più presa sulla psiche umana dell’incubo alla portata di tutti. La domanda che precede l’attacco di panico si trasforma allora in una tormentosa realtà, le angosce comuni prendono proprio quella piega che avevamo tentato di scongiurare, il quadro nefasto, pazzesco, perfino macabro, che si era intromesso nel flusso di coscienza e che istantaneamente avevamo respinto, si concretizza nel brutto sogno, esprimendo un concetto che ci isola nella lotta contro il panico: questa cosa sta accadendo davvero, e sta capitando proprio a me.

Tenendo ben presenti le atmosfere crepuscolari di Poe, le ambientazioni di quotidiana routine della Jackson e la spietata introspezione psicologica della Oates, scegliendo per le sue storie protagoniste femminili inquietanti e seduttive – drammaticamente potenti come Ligeia, o normalmente ingenue come l’istitutrice di Henry James in Giro di vite –, Giulia Sara Miori dà vita a storie di ordinario, fremente terrore.

Sono madri, amiche, mogli, amanti le donne che si passano la staffetta da un racconto all’altro, un testimone infestato che simbolicamente assume le forme di una giacca nuova o di un paio di occhiali vintage, un messaggio nero che si perpetua in una condanna familiare, una depressione post-partum, una delusione amorosa. È da un colloquio di lavoro, un viaggio in aereo, un acquisto nel negozietto dell’usato che scaturiscono gli incubi più tetri, è dal cimitero che a volte iniziano certe storie, dopo esserci scrollati di dosso il terreo marciume della tomba e aver accettato un passaggio dal primo bravo ragazzo che si è fermato per aiutarci.

Giulia Sara Miori vede con chiarezza in questo quotidiano e non ha paura di raccontare quel lato oscuro che sta sempre in agguato per poi offrircelo, dentro un bell’involucro di pizzo antico: ventuno confetti nerissimi, tutti per noi.