IL MONDO DIETRO DI TE – Rumaan Alam

C’è New York, col suo trambusto quotidiano, i mille rumori e gli impegni lavorativi, e c’è la necessità di staccare da tutto per una settimana e fare spazio ad una vacanza da sogno, lontano da tutto, in un posto imprendibile, isolatissimo, in comunione con una natura rimasta al di fuori della routine quotidiana, confinata in un angolo della coscienza, luogo in cui la realtà smargina nell’ipotesi.

È così che Clay e Amanda, coppia di professionisti affermati quel tanto che basta a condurre una vita dignitosa, affittano una casa da urlo a Long Island e caricano la macchina, pronti a partire insieme ai figli – due adolescenti che incarnano la seducente promessa degli adulti che diventeranno – per qualche giorno di totale relax. Tutto sembra filare a gonfie vele in quella villa dotata di ogni comfort di cui la famiglia a poco a poco si appropria – non è forse quando ci rilassiamo che iniziamo a considerare un luogo come nostro? I segni dei ragazzi e degli adulti sono ovunque, i vestiti sparpagliati in giro, le dispense rifornite di cibo calorico, gli asciugamani stesi al sole dopo la piscina, diventano significative tracce di appartenenza, espressione di un bisogno che appagatosi tiene lontano la tensione e il sospetto di una minaccia tanto imprevedibile quanto reale. Se è vero che la notte è lo spazio in cui le paure respinte durante il giorno trovano libero sfogo, nel caso di Clay e Amanda queste prendono corpo e si riversano sulla famiglia di vacanzieri nel giro di pochi istanti: una coppia anziana bussa alla porta, sostenendo di avere la proprietà della casa e di aver bisogno di aiuto: qualcosa non sta andando per il verso giusto, forse un blackout, ma nessuno riesce ad ottenere ulteriori notizie. I telefoni non prendono, internet sembra non funzionare.

 

L’indefinitezza e l’isolamento sono la solidissima base su cui Rumaan Alam costruisce la sua trama, la giusta spinta per confezionare un romanzo tesissimo che abbraccia le emozioni più primitive dell’uomo e che dà un sonoro schiaffo alla confortevole illusione di avere la nostra vita sotto controllo. In men che non si dica lo spazio di definizione umana è invaso da una minaccia che sapevamo essere presente e che, forse per sopravvivenza, avevamo scelto di ignorare. Il conflitto imbastito dall’autore non risparmia neppure la sfera più intima: le due famiglie che si trovano ora sotto lo stesso tetto rappresentano l’estraneità e il cinismo velato di chi pensa prima di tutto a sé eppure è costretto a condividere la stessa sensazione di pericolo con qualcun altro, ottenendo un’amplificazione paranoica del terrore che colloca questo romanzo tra i migliori, a mio parere, letti in questi anni.