Oregon Hill – Howard Owen

Willie Black lavora nella cronaca nera di un piccolo giornale a Richmond, Virginia. Ha cinquant’anni, un passato intenso – ben tre matrimoni falliti alle spalle – e un presente non da meno che condisce con alcool e troppe sigarette. Fin dalla sua infanzia ha dovuto prendere atto delle enormi discrepanze sociali alimentate da un inesorabile razzismo, inscalfibile pregiudizio che ammorba la comunità intera, a cominciare dalla sua stessa famiglia – insieme a sua madre Penny, ragazza-madre, innamorata di un uomo di colore, Willie è ripudiato dai nonni ed è costretto a vivere subito in debito di soldi e affetto. Assiduo frequentatore – anche per deformazione professionale – di umanità, smaliziato e ironico, Willie è un eroe atipico che non fa nulla per piacerci ma che, proprio per questo, ci piace tanto. Irredimibile seduttore, fascinoso nei suoi panni vecchio stile, conserva un profondo rispetto per la dignità umana e, seppur ammaccato dalla vita, si spende in prima persona in difesa dei più disagiati – barboni e personaggi stravaganti che popolano le strade di Oregon Hill, il quartiere dove Willie ha sempre vissuto.

L’incipit del romanzo è pienamente noir e ricorda le atmosfere angosciose e cupe di Ellroy: il cadavere gonfio di una ragazza viene ripescato dalle torbide acque del South Anna. Come se non bastasse, un macabro dettaglio ci raggela all’istante: la ragazza è stata decapitata. Quasi a strizzare l’occhio a Seven, grande successo cinematografico di qualche anno fa, in cui un ignaro Brad Pitt si vede recapitare in una scatola la testa mozzata della moglie, Owen condanna alla stessa sorte del bel Pitt anche il padre di Isabel Ducharme, la vittima: la figlia non solo è stata assassinata e gettata nel fiume, ma l’omicida si è anche preso la briga di spedirne la testa a casa, per corrispondenza. A Willie viene assegnato il caso e, inutile a dirsi, ci si butta anima e corpo.

Quel che distingue Oregon Hill da altri romanzi di genere e che, per realismo, lo avvicina a Chandler, è la sua grande insistenza sulle tematiche sociali, sulle storture di una giustizia che non fa il suo dovere, sulle profonde crepe di un precariato che avanza e travolge chiunque in nome del profitto, sulla malattia e sul dolore mentale che abitano soprattutto le classi più deboli. A Willie il dovere di cronaca, dunque, non solo di quella nera, ma anche di quella di vita, declinata nelle sue sfumature più contorte e nebulose.

È così che, in poco meno di trecento pagine, Owen condensa i diversi livelli di una città gonfia di contraddizioni, zavorrata dalla violenza di alcuni suoi quartieri e dall’ipocrisia di altri. Asciutto e intenso, riesce nell’impresa di creare un protagonista memorabile e imprevedibile che seguiamo, divertiti e affascinati, in questo suo incedere impacciato, in bilico tra un’intuizione geniale e un goffo scivolone, fino al finale che chiude tutti i conti. Willie Black – o novello Marlowe – dunque, debutta in questo primo romanzo della serie che lo vede come protagonista, e ci conduce per le vie tortuose del suo quartiere, quello che conosce come le sue tasche, quello da cui, nonostante tutto, non si affranca, insolito, improvvisato detective dalle sfumature blues.