L’intimo diario di un’impressione che non muore
È il 1996 quando Me’med fugge dall’assedio di Sarajevo per rifugiarsi con la moglie e un figlio ancora piccolo negli Stati Uniti. Perenne esule interiore – per gli americani deve tornarsene in “Russia”, per gli europei è un musulmano e per gli asiatici un europeo – si trova costretto a guardare indietro, tra le pieghe di una vita trascorsa dentro ad un continuo, desolato ritorno.
Un malore che, improvviso, coglie Me’med mentre è sotto la doccia, scardina la quotidianità sua e di Sanja, la moglie. In questa nuova vita che gli è toccata dopo l’infarto, Me’med ripercorre in successione emotiva i particolari di un’esistenza poetica, profonda, contrassegnata dall’amore per la famiglia, dimensione irriducibilmente tenera a cui ha dedicato ogni energia. Così, con la morte a spiarlo dalla soglia, l’autore si sofferma a riflettere sulla sua esistenza e su ciò che l’ha segnata. Nasce spontaneo un diario intimo, suddiviso in tre capitoli, tanti quante sono le parti che costituiscono il suo universo: se stesso, il figlio, e la moglie. Rimestando nella scatola dei ricordi, Me’med rivede Sarajevo sotto la neve, durante la guerra, e il loro primo appartamento in America, approdo d’emergenza in uno spazio infinito, privo di riferimenti.
Col figlio Harun viaggia on the road attraverso il deserto dell’Arizona per fotografare cieli stellati e panorami mozzafiato. Ogni tappa del viaggio è il pretesto per trascrivere un ricordo: il carattere ribelle di Harun, piccolo pioniere con la bandana rossa, la sua sfrontatezza nel volersi distinguere da un padre così famoso da essere citato nelle università, la promettente carriera fotografica. La consapevolezza che, come le parole, anche la fotografia serva a fissare la memoria di vite irriconoscibili, perché dentro ad uno scatto si è sempre qualcun altro. La malattia di Sanja capovolge ulteriormente la situazione di Me’med che rimane solo nel ruolo di memoria storica della famiglia. La moglie, riportando danni neurologici permanenti, è ora un’astante esterna, sospesa nel tempo, e la consistenza dei suoi ricordi è quella di un fiocco di neve che sta per posarsi a terra, intenso e caduco, piccolo miracolo di condensazione.
La conclusione naturale di questa autobiografia per impressioni è che le costanti di un percorso in cui i cambiamenti sono talmente radicali da smarrire l’orientamento, sopravvivono. E sono: la propria lingua, inscalfibile strumento di conoscenza del mondo, e che quel mondo preserva, e l’amore, incorruttibile andirivieni gravitazionale, baricentro che supporta la vita, ultima, inviolata roccaforte contro la più nera sventura.
Devi accedere per postare un commento.