Fotogrammi di un film horror perduto – Helen McClory

Fotogrammi o visioni? Il confine tra i due termini è labile se si cerca di inquadrare i quaranta brevi racconti che Helen McClory stende sulla pagina in questa sua prima raccolta, edita in Italia da Il Saggiatore. Nella loro immediatezza le storie macabre che l’autrice mette in scena spaziano dalla sensazione all’illusione, erigendo un clima nervoso che si affaccia continuamente dalle pur esili trame e lascia intravedere l’orrore dai pochi spiragli di luce fissi sui dettagli, fotogrammi che si collocano in un tempo immaginario, concettualmente lontano – così tanto da perdersi -, esclusivi prodotti della mente, autonomi centri nevralgici da cui si diramano le paure più profonde.

Mitologici fanno la loro apparizione Sirene e Ciclopi, istituzioni immortali ora alle prese con problemi domestici, incontrati per un drink in qualche pub scozzese, contesi tra una natura imperscrutabile e la prosaicità del desiderio sessuale, esseri a metà tra il nero più cupo – di queste ragazze-pesce intuiamo la spietatezza, di questo Ciclope l’invincibilità – e la lucentezza pulp di un glitter rosa per unghie. La loro mostruosità si esaspera dentro ad un’umanità che le costringe alla sofferenza (a tutti è cara l’immagine del lenzuolo bianco condannato ad agitare le sue catene, per sempre disperato).

McClory porta il diavolo al nostro tavolo, insospettabile avventore di questi giorni, gli fa ordinare qualcosa di espresso e, davanti ai nostri occhi, lo rivela, le dita annerite in punta, l’aristocratico contegno, il sorriso sghembo. Insieme a lui, tra queste pagine, si dibattono omicidi travestiti da sandwich, vecchie amiche gravemente dissociate – hanno la brillante idea di servire ad un buffet la mano di una delle due come fosse prosciutto -, ragazze zombie che escono dallo schermo di un vecchio televisore solo per togliersi lo sfizio di bere un caffè e indossare qualcosa di caldo, bambini risucchiati da foreste stregate, voci che infestano cineree case disabitate, ballerine di carillon diroccati che tentano la fuga per non morir di solitudine, donne emarginate costrette a rivivere la propria morte ogni notte, contemporanee ambasciatrici di una punizione prometeica.

Puntando tutto sull’evocazione, McClory prova a fare con la parola quello che il regista fa con la macchina da presa: ci suggestiona, lasciandoci la sola libertà di scendere ancora più in basso, dentro alle viscere di un orrore che abbiamo contribuito a creare.