1617, Vigilia di Natale, nel Mare di Barens, all’estrema punta nordorientale della Norvegia, una tempesta scaturita dal nulla si abbatte con violenza inaudita su una piccola spedizione di pescatori. Nessuno di loro sopravvive alle onde. Quei quaranta corpi, che a distanza di giorni tornano a riva, afflosciati sulle loro ossa, pallidi di acqua marina, sfigurati nelle loro mutilazioni, erano i mariti, i figli, i fratelli e i padri di una piccola comunità sostenuta solo dal loro lavoro. Morendo hanno lasciato completamente sole le loro donne, creature granitiche, abituate ad adattarsi ad una terra estrema, che mette a dura prova la sopravvivenza, avvezze a tutto, eppure sferzate duramente da una tragedia inspiegabile che, nonostante una profonda conoscenza del territorio e del clima, nessuno era stato in grado di prevedere. A Vardø, che ormai resiste solo grazie agli sforzi sovrumani di queste donne che si improvvisano pescatrici, coltivatrici, conciatrici di pelli, indossando le vesti di quegli uomini così amati, figli di acqua e di vento, mai più tornati, vive Maren insieme alla madre e alla cognata Diinna, una lappone, abituata alla consultazione delle rune e alla venerazione delle proprie divinità naturali, da poco madre del figlio di Erik, fratello di Maren, annegato insieme agli altri nella burrasca. La preoccupazione principale di Maren e di tutte le altre sopravvissute è il sostentamento, che potranno garantirsi solo collaborando strettamente fra loro, superando incomprensioni e diversità che ora appaiono come inutili orpelli, ultimi brandelli di una vita andata a fondo insieme ai loro uomini.
Il male, che nei sogni febbrili di Maren prende le sembianze di una balena invincibile e dell’acqua di mare che penetra ovunque e tutto compromette, nella realtà assume presto i contorni di un rigido supervisore luterano, Absalom Cornet, la cui presenza, funesta quanto il suono del suo nome, è destinata a cambiare ancora una volta e per sempre le sorti di quella comunità già messa a dura prova. Cornet è infatti lo scagnozzo del Lensmann Cunningham, uno scozzese, ex comandante navale, messo a capo di quel territorio direttamente dal re Cristiano IV di Danimarca e Norvegia con lo scopo di eliminare le resistenze indigene che contestavano il suo potere. Il regno di Cristiano fu, storicamente, un periodo buio, di oscurantismo estremo, epoca di grandi persecuzioni. Il monarca, infatti, promulgò diverse leggi contro la stregoneria e si conteggiano, a seguito di cinquantotto processi, una novantina di esecuzioni, la maggior parte delle quali riguarda donne norvegesi.
In questo contesto, così abilmente delineato, l’autrice fa muovere i suoi personaggi e lascia il lettore in continua apprensione per la loro sorte. Maren dovrà confrontarsi con un terrore sottile di cui neppure sospettava l’esistenza, misurandosi con un tipo diverso di cattiveria, scaturito dall’ignoranza, che si fa strada tra le dicerie delle compaesane e della sua stessa famiglia, in un crescendo di storture e accuse infondate che sfoceranno nel disumano.
Kiran Millwood Hargrave confeziona un romanzo storico dal forte impatto emotivo, insistendo più che su una resa passiva dei processi alle streghe, sulla restituzione della vita di quelle persone prima che il fanatismo religioso, rinvigorito dalla spregiudicatezza del potere centrale, ne facesse scempio. E dunque in Vardø, oltre alla memoria di quelle stragi, si cantano il coraggio, la libertà di pensiero, la dignità e l’amore profondo, tutto quello che si vorrebbe avere sulla propria barca quando si lascia la riva, sotto un cielo gonfio di presagi minacciosi, per spingersi verso il mare aperto.
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