Otto febbraio 1989, una data che per le famiglie di 144 persone cambiò tutto. Un Boeing della compagnia IndipendentAir di Atlanta, decollato da Orio al Serio e diretto a Santo Domingo si schiantò contro il Pico Alto di Santa Maria, una delle più belle isole dell’arcipelago delle Azzorre. Questo libro, a metà tra diario di viaggio e memoir, è il toccante resoconto del percorso che Cecilia Giampaoli, figlia di Giuliano, deceduto nel disastro aereo, intraprende alla ricerca della verità sull’incidente.
Si muove con decisone Cecilia, tra le strade di un’isola inesplorata e i fantasmi di un passato che non l’ha mai abbandonata. La ricerca del punto di contatto tra ciò che ha appreso, ancora bambina, in quella tragica sera di febbraio, e quello che è accaduto veramente in quei luoghi, custodi di un dramma infinito, inconsapevoli ladri di vita, è il centro focale del romanzo, il bersaglio attorno a cui tutto ruota. Senza quell’isola, la vita di Cecilia non sarebbe stata la stessa, Santa Maria è un’invisibile, costante presenza di sottofondo nella vita dell’autrice, un nemico imperscrutabile da affrontare, una paura incoerente da sconfiggere, una presa di coscienza doverosa, non tanto per scoprire una verità frantumatasi con l’aereo in mille voci, in mille pezzi, in mille storie, quanto per poter mettere a fuoco il fatto che ha determinato indirettamente il suo destino e tendere così, seppur idealmente, la mano al padre perso per sempre, svanito in un incubo, dentro ad uno strappo così repentino che l’elaborazione si allontana.
L’autrice rincorre le testimonianze di chi su quell’isola ci è nato e ha assistito allo schianto, i racconti si susseguono, crudi per volere della stessa Cecilia che non si fa sconti, eppure pieni di rispetto per quelle vite spezzate: impossibile ricomporre i pezzi dei passeggeri, dissanguati, mutilati dalle cinture di sicurezza, disintegrati. Sul sito della tragedia non cresce più nulla, la terra stessa è in lutto, compromessa per sempre – ci vollero sei mesi per bonificarla completamente e sui rami della vegetazione che è rimasta, ancora si scorgono, appesi, i brandelli dei vestiti che uscirono dai bagagli. Pico Alto assorbe il colpo dentro di sé, avvolgendolo come può, terra lacerata e per sempre disseminata di resti, miscugli di ossa e pezzi di aereo al posto della vegetazione originaria, sepolcreto all’aria aperta, santuario impraticabile.
L’omertà dell’isola non è di tutti e in molti, tra giornalisti e abitanti del posto ,si prodigano per ospitare, per raccontare, per indirizzare, fornendo i pezzi di un puzzle tanto straziante quanto necessario. Ad accomunare Cecilia, che si prende il tempo per capire quella terra che le è capitata in sorte come uno scherzo crudele – e la percorre tutta, a piedi, zaino in spalla, per ricomporla poi sul taccuino negli spazi vuoti di quelle giornate – e gli isolani, è la tragedia che come un colpo di mannaia ha interrotto il mondo per precipitarlo in un lutto enorme. Erano tutte persone diverse prima che il Boeing finisse dritto sul costone di quella collina, e il fatto è inconfutabile.
Servendosi della lingua come di uno strumento di ripresa, tagliente ed essenziale, diretto all’incisività nella resa delle impressioni, degli spazi, dei dialoghi e dei sentimenti, Cecilia Giampaoli firma un romanzo di grande impatto emotivo, nel tentativo di fornire una giustificazione terrena ad un evento di inconcepibile natura.
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