Come poteva Hugo Bettauer prevedere nel 1922 quello che solo pochi anni più tardi sarebbe accaduto in Germania? Eppure La città senza ebrei contiene tutto. Ambientato a Vienna, il romanzo – che già sottintende un clima socialmente teso, su cui la “questione” ebraica ha già fatto ampiamente leva, gli ebrei sono causa di ogni rovina e impoverimento economico, razziatori dei migliori posti di lavoro, delle donne più affascinanti, dediti alla cultura della bellezza che ostentano spendendo capitali in beni di lusso – inizia con l’approvazione da parte del Parlamento di una legge anti-ebraica: ogni ebreo, eccezion fatta per i nipoti avuti da matrimoni misti e per i malati non trasportabili, dovrà abbandonare il paese. Ragionevolmente, aggiunge il cancelliere Schwertfeger – annacquata controfigura hitleriana -, sarà concesso loro di portarsi appresso qualche avere per ricominciare una vita al di fuori dei confini austriaci. È una misura a fin di bene, ricalca il politico cristianosocialista, gli ebrei hanno così tante doti che inevitabilmente finiscono per oscurare la più tranquilla e rurale indole degli autoctoni, epurare gli ebrei è un atto dovuto se si vuole, abbassando gli standard, tornare ad una più equa distribuzione del benessere tra mediocri pari.
La penna di Bettauer è brillante e dotata di un’intelligenza sottile e garbata che dà ulteriore risalto al suo spiccato umorismo yiddish, pertanto la vicenda che narra scorre veloce come svolta sotto la forma della commedia, incentrata sulle peripezie di Leo e Lotte, innamoratissimi e separati a forza dalle nuove disposizioni governative. I capitoletti in cui è suddiviso il libro passano rapidi, folgoranti occhi di bue puntati sull’immiserimento conseguente allo svuotamento sociale e quindi anche culturale ed economico della città.
L’ultima moda viennese – balordamente spacciata per quella parigina – è incartata nel fustagno e nella flanella, dentro a patetiche mise tirolesi, caricature naturali di un popolo privo di gusto e grazia. La svalutazione immobiliare è all’ordine del giorno e i proprietari che ormai affittano ai pochi rimasti in città aboliscono le tutele per l’inquilino, fomentando il malcontento tra le maglie più povere del tessuto sociale, che dalla cacciata degli ebrei ha guadagnato ben poco. Ormai il quadro che si delinea è quello di un paese retrocesso ai livelli del terzo mondo, non più competitivo e snobbato dal resto d’Europa dove gli ebrei, accolti con più favore, sono il motore dell’economia e della cultura.
Giornalista e scrittore di grande talento, Bettauer pagherà tragicamente il prezzo della libertà di opinione e satira. Nel 1925, pochi anni dopo che La città senza ebrei fu pubblicato diventando un caso editoriale senza precedenti, l’eroico intellettuale verrà ucciso da un fanatico nazionalsocialista che non pagò mai per il crimine commesso, incarnando proprio quell’incubo di cui il romanzo fu genialmente premonitore.

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