Sulla chaise-longue – Marghanita Laski

È il gotico più puro quello che Marghanita Laski traduce sulla pagina nel suo Sulla chaise-longue, un breve romanzo dal meccanismo perfetto, incentrato sullo sdoppiamento di identità, che 8tto edizioni ha il grande merito di pubblicare nella pregevole traduzione di Cristina Cigognini.

Melanie, sopravvissuta alla tubercolosi ma ancora provata, è assistita nella sua nuova e bella casa dal marito Guy e dal medico di famiglia che le consigliano – un po’ le impongono, quasi che fosse una bambina – di riposarsi per qualche periodo ancora sulla chaise-longue nello studio del marito.

Laski costruisce da qui, partendo da lontano e in sordina, un’atmosfera di malessere che si trasformerà in incubo. La chaise-longue, misterioso oggetto di mediocre fattura acquistato da un rigattiere, è il mezzo attraverso cui Melanie verrà spedita in una dimensione alterata, intrisa di angoscia e morte, risvegliandosi nei panni di un’altra donna, Milly, vissuta molti anni prima. L’autrice ci abitua fin da subito ad una prosa aggraziata, che indugia in dettagli preziosi e scandisce il lento fluire di un tempo di sollievo, proteso alla guarigione per poi, giunti al punto più alto della parabola, quello in cui ci si rende conto che Melanie è capitata dentro al peggiore degli incubi, precipitarci nel putrido, nel non-morto, nel tetro. La luce allora cambia, la sensualità diafana, un po’ ingenua, di Melanie cede il posto alla seduzione disperata, in fin di vita di Milly, e gli interlocutori diventano specchi opachi per le sue paure. Ci siamo noi dentro i panni di Milly, noi che prima eravamo in quelli di Melanie, ad esplorarci, impietriti, le mani, le vesti, perfino il colore dei capelli, terrorizzati, come davanti ad una ferita mai scoperta per non ammetterne la gravità.

Laski, così, incede lenta ma inesorabile e mette a segno una storia indimenticabile che ammorba lo stesso lettore, un viaggio pericoloso, in cui la suggestione si fa reale e paralizza, perché davvero quando si accende una debole fiamma nel buio e i contorni iniziano a percepirsi, scopriamo di non sapere – forse – trovare una via d’uscita.

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