È un testo vertiginoso quello in cui si imbatte il lettore de “La civetta cieca”. Ipnotico e trascinatore, trascende la realtà e ne elimina i confini allargandosi dentro al buio di un’allucinazione senza fine la cui unica fonte di luce sono le parole, gradini di chiara bellezza con cui Hedayat costruisce la scala vorticosa lungo la quale ci conduce.
Figlio della tradizione iraniana, imbevuto di letteratura persiana, nato in Iran agli inizi del Novecento, Hedayat completa la sua formazione in Francia, dove si lascia affascinare dal Simbolismo, facendolo suo.
“La civetta cieca” dunque unisce tradizione letteraria persiana e ricerca poetica della realtà spinta al livello più profondo dell’esistenza, quello del subconscio. Ne esce un capolavoro.
Il protagonista è un miniaturista di portapenne che racconta passando da uno stato di pseudo lucidità a vari livelli di coscienza sempre più alterata, della sua inesorabile discesa agli inferi. Il desiderio, la carne, l’omicidio, il sangue, la morte, il tradimento, la terra, sono gli elementi che plasmano la voragine seducente dentro cui precipitare, a cui lasciarsi andare. I personaggi che compaiono nel romanzo si ripetono, ciclici, come visioni, come sogni disperati, sempre con le stesse sembianze eppure recitando ruoli differenti, visioni offuscate dalla malattia e dalle sostanze.
Forte di una liricità senza pari, Hedayat realizza un unicum, un viaggio dannato nella mente di uno sventurato uomo qualunque, simbolicamente incarnatosi nella civetta – portatrice di sventura nella cultura persiana – e lo sostiene con uno sconvolgente talento letterario che costringe l’immagine a farsi incubo e l’incubo a farsi concretezza e lo pianta davanti agli occhi del lettore, come un tragico cipresso, inestirpabile, eterna maledizione naturale, attraverso i cui rami passano tutti i segreti, i sogni e le ossessioni degli uomini, costringendolo a guardare, innamorandolo al punto da diventarne dipendente.
Da viaggio indotto, perciò, “La civetta cieca” diventa induzione stessa del viaggio che si esplica in una ciclicità perversa e ineluttabile. Ed è tra i testi più conturbanti e sinistri di tutta la letteratura mondiale.
“La notte stava scivolando via in punta di piedi, come se si fosse riposata a sufficienza della sua antica stanchezza”

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