L’oblio – Philippe Forest

Un uomo si sveglia e realizza di aver perso qualcosa, una parola. Non riesce a ricordarla, non c’è modo di recuperarla e inizia ad esserne ossessionato. Dopo settimane vissute tra camera da letto e bagno, in preda ad uno stato di semi-incoscienza onirica, decide di trasferirsi su un’isola, di cui racconta le origini leggendarie. Emersa dalle acque come terra primigenia, contesa da uomini e dei, esige sacrifici e restituisce persone, morti, nomi. Forse anche lui riuscirà a farsi restituire quel che ha perso, dalla vita, accettando di navigare a vista, di galleggiare il più delle volte, nelle acque magmatiche di un inconscio attraversato da sconosciute correnti oceaniche.

“Si sogna ciò che si ricorda.

Si ricorda ciò che si è sognato”

L’ambientazione è ridotta al minimo, un’isola, una stanza d’albergo spoglia tranne che per un quadro, riflesso della realtà, o sua genesi, e una piccola libreria, scatola cinese contro le cui pareti la storia rimbomba. I personaggi sono essenziali, la proprietaria della camera in affitto e una donna sconosciuta, avvolta dalle acque del mare come un mistero che si svela, lasciando cadere a terra vestiti e orpelli, per rivelarsi archetipo di passione.

Forest ordisce un racconto sensuale e poetico, un’indagine profonda alla ricerca della parola intesa come condizione necessaria all’esistenza del reale, l’esplorazione coraggiosa del proprio passato e il recupero del ricordo in forma inconscia. Un gioco di false prospettive e specchi che porta al ritrovamento di quel che era perso senza mai uscirne, una spirale ipnotica, la vita, preservata solo dall’oblio in cui il ricordo di chi si è amato, di chi è stato, trova salvezza.

“Dovevo abbandonarmi all’oblio per riuscire a vincerlo”