Scenari apocalittici, ai limitare della ragione, stagioni che si confondono, neve che cade come cenere, amore e morte, un passato che torna per annientare sotto forma di ricordi distorti, frammenti bruciati di un film che non si può più guardare e l’amore morto o fuggito per sempre e l’orrore, appena svelato, da seppellire vicino e con cui convivere.
Labbate scrive per immagini, evoca, in modo personalissimo, dimensioni parallele, spazi ai confini della realtà, richiama universi interi racchiusi nel sottosuolo, mondi in cui protagonisti becchini scelgono di tornare a vivere, città al cui centro pone macellerie insanguinate e lavanderie dove sinistre e robotiche vecchiette ripetono frasi inquietanti, e crea piccoli capolavori come Luce accesa, racconto quasi dylandoghiano, alla Sclavi, surreale e morbido, con una voce femminile fuori campo che invita il suo amore a fare il bagno insieme, dopo averlo lasciato vagabondare nell’oscurità per tutta una notte.
Superlativi i rimandi a Poe, corvi, cimiteri, cripte, atmosfere gotiche filtrate dalla lente delle ambientazioni del Sud. Rosso e nero i colori, ma anche arancione e la tinta d’ombra indefinibile che ha la notte.
“Ci sarebbero state altre notti e altri Lucifero con gli occhi gialli, egiziani”
Col bellissimo racconto finale arriva il ritratto della migrazione in America, un miraggio che si trasforma presto in qualcos’altro, un continente che di nuovo non ha niente ma che è piuttosto un carrozzone da circo fatto dalle peggiori caratteristiche di tutte le etnie. Un incubo reale, che trabocca di particolari azzeccati, di suoni e odori e, per contrasto col resto, catapulta nel mondo disperato della Little Italy di inizi Novecento.
Uomini che arrancano sui propri ricordi scambiandoli per sogni.
“Cocci intrisi di caffè tiepido si incanalavano nei disegni del pavimento, fiumi dentro cucchiai di luna tra le barche”
Diciassette racconti originalissimi, staccati da qualsiasi altro tipo di scrittura, che si addentrano in una dimensione crepuscolare e onirica, allucinazioni gotiche, sinistre, macabre e poetiche, dai profili ammiccanti, come quelli delle stelle che mentre sorridono dall’altra parte hanno già il volto di uno spettro.
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