Ventisette racconti, ventisette colpi in canna, ventisette ritagli di vite, ventisette pezzi di un negativo da guardare in controluce per ricostruire delle storie.
Sono belli e immediati i racconti che Valerio Valentini sceglie per questa sua raccolta, alcuni durano lo spazio di un respiro, solo qualche battito, il tempo dello sfarfallio di un paio di ali, la lunghezza di qualche riga appena.
Sono un rapido mischiarsi dei colori delle cose alle particelle invisibili dell’aria, sono l’impressione che arriva istantanea alla mente.
Altri racconti, invece, sono più lunghi e possono durare quanto una delusione d’amore o una colazione al bar, certi si prendono il tempo di un cappuccino o di una passeggiata su una spiaggia colorata di scuro dalla sabbia; alcuni hanno la consistenza traslucida delle lenzuola in un mattino incerto e raccontano la dolcezza nascosta in un abbandono oppure la ferocia impietosa e irriducibile di un ultimo abbraccio. La lingua che parlano è quella della memoria delle cose che restano e sopravvivono al tempo.
Gli uomini e le donne di questi racconti sublimano nelle emozioni che provano, i volti che tremano mentre parlano con un dio che fa il deejay o si perdono in un’esistenza insostenibilmente infelice.
I drammi, quando ci sono, sono trattati con familiarità e l’intimità non è esattamente un traguardo.
In L’ultimo giorno di Phonola, un racconto decisamente anni ’80, ci sono anche io e forse c’è anche qualcuno di voi…
“Quando facevano notte horror, io e Phonola ce ne stavamo al buio spaventati, mi mettevo una coperta in testa, seduto in terra, e quando c’erano i momenti più spaventosi mi coprivo fino a non vedere”
C’è tutta l’umanità che volete in Gli insetti sono tutti a dormire e Valentini ne scrive senza far sconti.
Ed è bello questo non regalare niente, questo non aggiungere altro, perché quello che c’è, se lo sai raccontare, è abbastanza, come quando un bambino si tuffa in piscina e fa uscire tutta l’acqua.
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