L’ultimo viaggio di Soutine – Ralph Dutli

Il libro che ho tra le mani è un libro che lascia trasparire l’anima di chi l’ha ispirato, un libro che non rimane chiuso tra le sue pagine, che non può restare contenuto nello spazio nero dei caratteri stampati e neppure in quello del tempo presente, è un libro speciale, non soltanto perché racconta la vita di un uomo fuori dal comune, ma anche perché la racconta attraverso il suo ultimo viaggio, una simbolica discesa all’inferno su un carro mortuario attraverso la Francia occupata dai nazisti, con la speranza di arrivare in tempo a Parigi per farsi operare.
Come unica scorta, Chaim Soutine, ha l’amata Ma-Be, la fata folle, il suo angelo nero, già musa ispiratrice e moglie di un pittore surrealista tedesco, colei che ha deciso di fargli affrontare in fin di vita quel viaggio, purché fosse operato a Parigi.
Personalità enigmatica e taciturna, in questo libro, Soutine mette a nudo la sua l’anima.
Uomo dall’infanzia tormentata, Soutine cresce in una famiglia ebrea che lo vessa e punisce corporalmente per le sue velleità artistiche, tuttavia, grazie ad una piccola somma d’indennità ottenuta dopo un pestaggio, presto riesce a fuggire e a raggiungere la capitale francese.
Riesce così a studiare all’accademia di belle arti e a frequentare il folle mondo dell’arte e dell’estro pittorico di Parigi, qui conoscerà Modigliani da cui rimarrà per sempre segnato, e grazie a Modigliani imparerà  la poesia di Baudelaire e si affaccerà sul mondo della fata verde e della sensualità in versi.
La vera costante nella vita del pittore, però, è il dolore, il dolore che deforma, che trasforma, che crea, il dolore in cui riconoscersi, il dolore grazie al quale raggiungere la fama, lo stesso dolore che tenta di imprigionare dentro le tele e che poi, grazie al fuoco, proverà a distruggere.

“Soutine è un Geremia che urla e sputa i suoi colori sul paesaggio. Un colpo di frusta nel silenzio assoluto delle colline. Ha bisogno di quel paesaggio per potersene disfare. Ma come lo concia, come lo riduce. Ne mostra le viscere, le budella, le tortuosità inaspettate. Dov’è la via del ritorno? Ovviamente non esiste. Niente si può riparare. Niente di quel che è capitato a lui.  È ancora tutto là. L’infanzia maledetta per sempre”

Un viaggio fatto tra memoria e morfina, tra vita e morte, i confini della realtà e del sogno fusi in una narrazione senza precedenti; Dutli non si risparmia e racconta incessantemente, racconta dell’occupazione, dei bambini, del velodromo d’inverno, delle carcasse che il pittore “pazzo” tiene a marcire nell’appartamento di Parigi, dell’ufficio d’igiene che irrompe, dell’ulcera divoratrice, del latte, sola panacea per il dolore, delle allucinazioni, dei ricordi, dei suicidi e degli omicidi, delle morti e delle vite di un’epoca che così non era ancora stata raccontata.

Questo romanzo è, prima di tutto, l’occasione di sapere e, se non l’avessi letto, adesso saprei di essermi persa qualcosa di veramente straordinario.

“Lui invece detestava i sogni fin dall’infanzia, non davano mai alcuna consolazione, al mattino lo lasciavano prostrato e sfinito. Non aveva mai fatto dei bei sogni, diffidava di loro, ipocriti messaggeri di sventura”