Blonde di Joyce Carol Oates

“Blonde” di Joyce Carol Oates è un libro a cui ho tenuto moltissimo mentre lo leggevo e a cui ho tenuto moltissimo anche dopo averlo finito. Ho impiegato all’incirca venti ore di lettura quasi ininterrotta per portare a termine la storia della biondissima attrice che, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del secolo scorso, incarnò il mito della bomba sexy non solo negli Stati Uniti ma di riflesso anche nel resto del mondo.
In questo libro si parla, come avrete intuito, di Marylin Monroe.

Essendo Marylin una figura altamente simbolica, mi è capitato spesso di informarmi riguardo la sua vita e soprattutto riguardo le condizioni misteriose in cui capitò che l’attrice, in un giorno d’agosto del 1962, all’età di trentasei anni, venisse ritrovata morta.
Ancora adesso, dopo tanti anni dalla sua scomparsa, Marylin Monroe dà adito a diversi dibattiti: su di lei vengono prodotti documentari con sempre nuove teorie su quale fosse davvero la sua personalità e sui vari intrighi, segreti e forse politici, che ne determinarono il triste fato.

In tutte queste produzioni sull’argomento, però, ciò che manca è lei, è Marylin.
Non ho trovato nulla che sapesse restituirmi così fortemente la figura dell’attrice come questo romanzo e, proprio perché, Joyce Carol Oates ha avuto la capacità di ricostruire il personaggio e la sua umanità a trecentosessanta gradi, quasi evocandolo dalla nebbia del passato, sembra di averla accanto, Marylin, mentre si sfogliano le pagine, quasi fosse lei che, con quella voce calda e un po’ roca che siamo stati abituati a conoscere dalle registrazioni d’epoca, ci racconta la sua storia.
In pieno stile Oates, il romanzo mescola più voci, da quella di Norma Jeane, a quella di Marylin, che la stessa Norma riconoscerà essere solamente una finzione e non una realtà, a quelle dei suoi mariti e svariati amanti nel tempo, a quelle dei produttori e registi che ebbero modo di lavorare con lei sul set, a quelle degli attori che la conobbero – tra cui il famosissimo Marlon Brando – a quelle dei suoi medici personali, dei suoi truccatori, delle persone che la ebbero in affidamento da piccola, a quella della madre, la donna che più di tutte giocherà un ruolo chiave nel suo destino.
Marylin si può spiegare solo considerando tutte queste interferenze vocali che altro non sono se non il mondo marcio in cui, fin da piccolissima, Norma Jeane si trovò a dover sopravvivere da sola, con un forte senso di abbandono e disperazione sulle spalle che non la lasciò mai e che la portò a compiere ogni suo singolo passo, prima salendo la scalinata del successo – ma era poi davvero ciò che Marylin voleva? – e poi, inesorabilmente, scendendo verso il baratro che per tutta la vita costeggiò la sua strada, attendendo che sbandasse per risucchiarla.

Di Marylin Monroe non si sono dette tante cose, la prima, quella fondamentale è che Marylin non esisteva, ma che, invece, esisteva Norma Jeane e che solamente in pochi riuscirono davvero a vederne l’anima, nascosta sotto i lustrini, il biondo platino dei capelli e il rossetto sgargiante del suo alter ego che così tanto consenso riscuoteva tra gli uomini da far pensare a Norma che quello le sarebbe bastato per sopravvivere, che quello significava essere finalmente amate.
Il ritratto che esce di Marylin Monroe sconfessa ogni diceria sul fatto che fosse una donna frivola e superficiale.
Marylin era un genio e aveva veramente talento per la recitazione.
Tutta la sua carriera fu costellata dal tentativo di liberarsi del ruolo della “Bambola senza cervello”, che le era stato cucito addosso, per dimostrare che era davvero quello che diceva di essere: un’attrice, non solo un corpo da dare in pasto alle masse.

La prosa di J.C.Oates è, come sempre, avvincente, scorrevole, azzeccata fino a raggiungere la perfezione narrativa, i vari montaggi temporali, tra scene al presente e squarci di passato o flashback trasognati, sono resi talmente bene che non diventa un’ impresa ardua seguirli e ci si adatta presto al ritmo dell’elaborazione del pensiero – del resto stiamo compiendo un viaggio dentro la mente di una delle figure più emblematiche e indecifrate del secolo scorso.
Gli interventi di altri personaggi, con le loro considerazioni su Norma, sono diversi, se ne trovano parecchi nel testo e riflettono, come tante piccole schegge di uno specchio rotto, il mondo che allora la giudicava, quello da cui ella chiedeva solo una cosa: essere amata e non essere dimenticata.

Il romanzo è tumultuoso e non poteva che essere così, anche se il perché lo si capisce davvero solo quando anche l’ultima pagina di quel diario che Norma teneva – e che non fu mai più ritrovato – verrà letta.
Se pensate di conoscere Marylin, beh… magari avete ragione, però, io non credo che la conoscerete mai tanto bene come quella che ancora trae vita dalle righe di “Blonde” e che è tornata per raccontarci che…

“… in realtà Norma Jeane non conosceva assolutamente nulla di se stessa, la sua anima era un vuoto che le toccava riempire ogni volta che si esprimeva – Norma Jeane la sua anima doveva inventarsela. In fondo tutti noi siamo vuoti, ma lei era l’unica a rendersene conto”

Una vita che fu tante cose, fu genio e fu dramma, fu miseria ed esaltazione, fu diversa da tutte le altre e, forse, quello che i posteri devono ad una donna tanto colpita nel suo intimo è di restituirle dignità.
Questo romanzo lo fa, Joyce Carol Oates lo fa, ce la racconta e ce la fa amare, di nuovo, come Marylin aveva sempre voluto.
Ed io spero di essere riuscita a spingervi un po’ di più verso lei, scrivendo questa che, più che una recensione, è un resoconto che viene dal cuore.

Sara Manfroni © Riproduzione riservata