Piccoli suicidi tra amici di Arto Paasilinna

Devo dire la verità: io questo libro non l’ho proprio capito. Dopo averlo terminato, ho lasciato che l’esperienza di lettura decantasse per qualche giorno, ma niente, nessuna illuminazione al riguardo.
Consigliato in molte librerie come “da non perdere”, definito addirittura “esilarante”, qualche tempo fa, cedetti alla curiosità, mi fidai e lo acquistai.
Arrivare all’ultima pagina è stata una vera impresa, ho iniziato a faticare fin da subito: una narrazione interrotta, che non fila, episodi dalla dubbia comicità fatti passare per ridicolissimi o addirittura appena abbozzati e poi lasciati lì, ad aleggiare sulla storia senza avere un effettivo legame con essa.
I personaggi sono troppi e troppo poco definiti.
Non si fa in tempo ad abituarsi ad uno di essi e a memorizzarne il nome (i nomi sono scritti, ma questo mi par giusto, in finlandese), che si passa subito alla storia strampalata di un altro, tagliando di netto la flebile familiarità appena nata.
L’indagine introspettiva delle figure che sovrappopolano la storia è davvero molto superficiale, le battute non hanno né l’ironia né il cinismo adatti per sostenere una trama che poteva anche essere intrigante, ma che sicuramente ha un certo peso: un colonnello e un imprenditore fallito, dopo essersi salvati dal loro stesso suicidio, decidono di creare un gruppo di “mutuo aiuto” al contrario per aspiranti suicidi, puntando alla morte collettiva come risoluzione definitiva e più piacevole – perché largamente condivisa secondo la formula “mal comune mezzo gaudio”-, dei problemi di ciascun iscritto.
Potenzialmente le varie ipotesi di suicidio formulate dai personaggi potevano anche essere divertenti, e devo ammettere che una risata o due mi sono scappate mentre immaginavo il pilota sano di mente di una mongolfiera carica – per sua sfortuna – di disperati e che una volta arrivato alla giusta altitudine deve spegnere i motori, chiedendosi solo allora perché anche lui stia facendo quell’assurda e indesiderata fine.
Tuttavia queste rare immagini comiche non mi sono bastate e quello che ho vissuto è stato un viaggio tormentato, tra indecisioni e cambi di rotta improvvisi atti a ritardare la fine della storia e forse anche a far ridere il lettore – ma non avendo io riso per tali cambi non saprei ben dire -, in un continuo procrastinare il momento decisivo.
Il risultato è che eventi marginali, paralleli allo sviluppo del tema principale, si affastellano gli uni sugli altri, generando ulteriore scompiglio in una vicenda che non prende mai forma.
Durante la lettura, infatti, ho perso completamente di vista il fulcro narrativo.
Mi sono chiesta, alla fine del libro, quale fosse la storia che esso raccontava e non sono riuscita a darmi una vera risposta.
Insomma, ovviamente questa recensione è a titolo personale, ma a me “Piccoli suicidi tra amici” è sembrato uno scheletro privo di ossa qua e là, senza che neppure questa “deficienza” riuscisse a suscitare ilarità; della grande ilarità che prometteva, poi, o meglio, che tutti promettevano, io non ho visto un granché.

Sara Manfroni © Riproduzione riservata